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Elezioni Regionali: intervista esclusiva a Vindice Lecis, il candidato governatore parla del futuro della Sardegna sotto la sua guida

Sessantuno anni, sassarese, ex giornalista della Nuova Sardegna e del gruppo “l’Espresso”, dal 1981 ha lavorato per sei testate del Gruppo Editoriale “L’Espresso” come capo cronista, capo redattore e inviato, scrittore, ha all’attivo 16 libri. Lecis è sostenuto da Sinistra Sarda  un’aggregazione di personalità progressiste legate al mondo del lavoro, da Pci e Rifondazione.

Secondo lei il reddito di cittadinanza che benefici porterà alla Sardegna?

Il reddito di cittadinanza infila i problemi sotto una coltre di assistenzialismo ma non li risolve. Sinistra Sarda ritiene che la questione principale sia invece la creazione di posti di lavoro e che questi siano considerati un diritto non una gentile concessione. In questo secondo caso il rischio è che imprenditori di rapina – come sta accadendo ora nella Sardegna centrale – smantellino pezzo dopo pezzo le fabbriche. Tuttavia non accetto nemmeno l’atteggiamento spocchioso e feroce del Pd che – dopo aver distrutto il lavoro col jobs act –  ritiene che questa boccata d’ossigeno certo demagogica ma reale, del reddito di cittadinanza, sia solo un furbo espediente per prendere soldi stando nel divano. Quando quel partito parla persino di referendum su questo tema si comprende quanto siderale sia la sua distanza dai bisogni dei cittadini.

Il lavoro rimane il più grave problema che affligge la Sardegna, che tipo di strategie metterebbe in campo?

Proponiamo un Piano straordinario per l’occupazione dove affluiscano risorse pubbliche di diversa provenienza. Perché i soldi ci sono, come si è visto nella vertenza dei pastori, bisogna costringere chi li ha a tirarli fuori, a investire per creare occupazione che deve essere stabile, qualificata ed equamente retribuita. Il piano può essere finanziato anche con i 285 milioni che lo stato deve restituirci dopo averceli scippati investendoli in un grande piano di riassetto idrogeologico della Sardegna ferita dagli scempi del territorio e per la valorizzazione dei nostri beni culturali che possono garantire un’occupazione ampia e qualificata. Non dimentichiamo che il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 47%!

I sardi non sono contenti della gestione della sanità di questi ultimi anni, dove ha sbagliato la giunta Pigliaru?

La giunta Pigliaru ha fallito in gran parte proprio sulla sanità. Partendo dall’idea della deospedalizzazione ha avviato invece una feroce scelta di ridimensionare presidi essenziali indebolendo la sanità pubblica in quasi tutta la Sardegna, in particolare quella delle zone interne. Un obbrobrio che noi saneremo definendo una nuova riforma, questa volta degna di questo nome, che rimetta al centro la sanità territoriale e salvi le strutture basilari. E’ prevalsa con la giunta una concezione ragionieristica che ha portato a un forte indebolimento della nostra sanità. Basti citare i casi di La Maddalena, Sorgono, Muravera, Alghero,Ozieri, e altri. Ecco perché non servono palliativi come la strana proposta delle Case della salute, un modo di perpetuare una politica di declassamento.

L’Italia spegnerà le centrali a carbone entro sei anni. La Sardegna dipende dal termoelettrico per il 76% e non ha il metano. Come gestirebbe la questione energia Lecis governatore?

Il metano è opportuno in una fase transitoria poiché produce energia termica necessaria per consentire la cosiddetta economicità dei cicli produttivi. Ma il futuro è lo sviluppo delle energie rinnovabili che già nell’isola sono superiori alla soglia che si dovrebbe raggiungere nel 2030. Non è convincente però la realizzazione della dorsale che, quando sarà realizzata – tra decenni – sarà obsoleta. Come soluzione intermedia servono dunque depositi costieri e il completamento dei bacini di distribuzione. Inoltre è necessaria la riconversione degli impianti termoelettrici.

Indipendenza, insularità o zona franca, di cosa ha bisogno la Sardegna?

Non apprezzo né gli slogan né le scorciatoie demagogiche. Dobbiamo far pesare, come mai abbiamo fatto, la nostra autonomia. Non è possibile accettare la svendita di un grande patrimonio autonomistico: dobbiamo imporre le nostre prerogative. Anche perché la crescita di altre regioni, quelle più ricche, in questo senso non farà altro che aumentare i divari e i disequilibri della nazione. Credo che però la realizzazione di alcuni punti franchi possa essere studiata così come lo sviluppo delle Zes nelle aree industriali che possono aiutare e agevolare insediamenti produttivi.

Il principio di continuità territoriale dice che i cittadini d’Europa devono muoversi nel proprio paese tutti alle stesse condizioni, secondo lei noi ci spostiamo come si spostano nel resto d’Italia?

I sardi sono prigionieri. Non sono liberi di spostarsi e agli stessi prezzi degli altri italiani. Una vergogna autentica che danneggia l’economia e la dignità stessa. Bisogna implementare la continuità aerea con maggiori risorse economiche per ottenere un’estensione delle rotte a minor costo. Serve una continuità marittima non strozzata dai monopolisti e quella per le merci. Curiosamente, sino ad ora, nulla è stato fatto. Ma diritto alla mobilità significa anche potersi muovere in sicurezza e agevolmente sulle strade della Sardegna. Sulle infrastrutture infatti la situazione è certamente peggiorata. Se guardiamo la Sassari Olbia e contiamo le inaugurazioni a raffica fatte dall’ex ministro Del Rio possiamo raccontare la storia delle incompiute.

I pastori dovrebbero accettare le proposte di governo e industriali fatte sabato?

I pastori devono poter decidere guardando le carte, le tabelle, le proiezioni. Ma non credo che quella proposta sia un’utile base per un accordo. Altro che 72 centesimi stiracchiati, bisogna arrivare a 1 euro e poi fare le cose essenziali: impedire la sovrapproduzione, diversificare finalmente la produzione e avviare la formazione dei nostri pastori. Ma questo accordo non è dignitoso.

Spesso si deve scegliere tra ambiente, etica e posti di lavoro, dalla produzione di bombe ai ricci di mare, alle industrie inquinanti, è un’utopia pensare a una Sardegna che offre occupazione sfruttando l’ambiente in modo etico e sostenibile?

L’ambiente, il clima, la salute non devono mai più essere sacrificati sull’altare di uno sviluppo che aggredisce la qualità della vita di intere popolazioni per generazioni. Basta veleni, si può. Le industrie devono essere pulite – lo sviluppo tecnologico ha fatto passi immensi in questo campo – e legate alle vocazioni dei territori. Noi riteniamo che il paesaggio non sia una risorsa inesauribile e che dunque vada tutelato con rigore nell’ambito di uno sviluppo equilibrato tra bisogni sociali, attività economiche e vincoli ambientali da mantenere come indicato dal ppr del 2006. Tutele da estendere anche alle zone interne per poter assicurare uno sviluppo produttivo delle campagne per coltivatori e allevatori per tutelari i territori da pratiche altamente speculative sempre in agguato.

Nominerebbe assessori tecnici? Ha già in mente qualche nome?

Non voglio sentire parlare di assessori tecnici. Sarebbe diabolico dopo quel funereo senato accademico che ci ha governato. Nella mia giunta penso a donne e uomini di qualità che vivono la vita di tutti i giorni. Non persone che si rinchiudono in una torre d’avorio.

Sette candidati, nemmeno una donna, a parte la brevissima esperienza di Ines Pisano, secondo lei è normale?

Non è normale che non ci sia una donna tra i candidati. Eppure moltissime donne sono militanti ed esponenti grande qualità in molte delle forze politiche. Un grave problema da risolvere lavorando per una effettiva parità.

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