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Caritas, sfratto nell’incertezza e nella paura. Da don Marco Lai due “ricette” per una possibile soluzione

A Cagliari il centro comunale di solidarietà Giovanni Paolo II, la ben nota Caritas di viale Sant’Ignazio, è sotto sfratto, nella più totale incertezza e paura. Soprattutto per gli ospiti della struttura. Nella notte tra sabato e domenica dello scorso fine settimana, la notifica è stata consegnata dalla polizia municipale in un orario decisamente insolito e il suo messaggio parlava chiaro: fuori tutti entro il 28 settembre per via di lavori di ristrutturazione. Ma dove verranno ospitati nel frattempo gli ospiti della struttura? Quali sono le soluzioni alternative? Il punto interrogativo è grande quasi quanto la struttura stessa.

Una storia lunga quindici anni,  un segno di umanità in quella che  è sempre stata la “via dei poveri”,  una vera e propria “facoltà universitaria della solidarietà”, come l’ha definita il direttore don  Marco Lai, sorta tra il polo politico-giuridico-economico, in cui gli studenti possono davvero toccare con mano la realtà di alcune società. «Lo stabile aveva bisogno di essere ristrutturato, anche per la sicurezza. E ciò andava fatto, era legittimo e doveroso, certo. Questo percorso però doveva andare in parallelo tra ricerca delle risorse e di una soluzione che salvaguardasse i poveri più poveri».

Sono tanti i bisognosi che al momento trovano un aiuto dal centro di solidarietà, un «gioiello» frutto della collaborazione tra Chiesa e pubblica amministrazione. E l’identikit è noto a tutti: padri separati, stranieri senza fissa dimora, ludopatici, persone finite senza casa perché sfrattate, una dopo l’altra. Tra i tanti, anche molti ex detenuti, ex tossicodipendenti, disagiati psichici. Tutti fragilissimi, presi a schiaffi dalla vita e abbandonati, che lì hanno trovato un ricovero, un pasto, un letto dove dormire e, soprattutto, un contesto di vita dignitoso, che ora si rischia di perdere: «Di sicuro tutto questo andava salvaguardato – lamenta don Marco – e forse si dovevano trovare delle alternative. Bastava che le istituzioni si guardassero in faccia. Ma forse possono ancora farlo».

Una situazione di stallo che fa paura a tutti, anche se il parroco di Sant’Eulalia propone due possibili “ricette” per la soluzione. Nella prima: «I lavori si possono fare “a moduli”, a pezzo, come avviene in ogni condominio. Senza mandare via la gente, basta che ci si sposti all’interno da una parte all’altra in sicurezza. Ma forse non c’è la volontà». Oppure, in un eventuale trasferimento in blocco, ci sarebbe una seconda carta da giocare,  con il centro di Cagliari ricco di tante le strutture che potrebbero accogliere, anche a tempo, gli ospiti: «Abbiamo il palazzo della Scienze, vuoto, quasi tutto il complesso dalla clinica Macciotta alla Aresu disponibile, l’Ospedale Civile e Buoncammino. Senza contare scuole e caserme dismesse. C’è un’infinità di beni e i senzatetto sono tantissimi. Tutto questo richiama un’alzata di capo da parte della politica e degli enti preposti. Faccio appello all’Università, alla Regione e al Comune perché si trovi una soluzione per questa gente. Noi saremo collaborativi, ma la politica deve riappropriarsi del problema».

In questi giorni, stando alla lettera consegnata, a ciascun ospite, sono iniziati “percorsi alternativi” – peraltro già avviati da marzo-aprile con il progetto “Amico Tutor” – e tutti sono stati convocati dagli uffici del Servizio Politiche Sociali e Salute per la “la sottoscrizione e/o l’avvio del progetto personalizzato”, anche  nella possibilità di trovare un alloggio alternativo: « Non si può fare il gioco delle tre carte. Queste persone non hanno modo di trovarsi una camera, con contratto, perché non possono pagare eventuali caparre. I progetti vanno studiati insieme e ognuno deve prendersi le sue responsabilità».

Nel corso di tutti questi anni il centro “Giovanni Paolo II” è stato fondamentale nel percorso di reinserimento sociale di chi, bisognoso, ha chiesto una mano di aiuto: « In tanti dai baratri più profondi – racconta don Lai – sono risaliti e hanno riconquistato la propria autonomia, il proprio lavoro, la propria casa. La gioia di vivere, insomma. Altri hanno trovato la dimensione ideale nel centro stesso. La paura per chi esce, però, è l’incertezza del futuro».

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