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Accadde Oggi. 10 luglio 1991, il delitto dell’Olgiata: vent’anni di indagini per trovare il colpevole

delitto olgiata

È caldo, a Roma, in quella mattina estiva del 10 luglio del 1991. Alberica Filo della Torre è una bella donna di quarantadue anni, ha un carattere forte e schietto, talvolta è dura (soprattutto con il personale) ma – dirà il marito in seguito – è anche molto generosa. È sposata con Pietro Mattei, celebre costruttore della capitale. Nella villa sontuosa a nord di Roma – una zona soprannominata Olgiata – nella quale i due abitano, fervono i preparativi: la coppia proprio quella sera deve festeggiare i dieci anni di matrimonio. Un via vai continuo, finestre aperte, uomini e donne a lavoro.

Ma non ci sarà nessun party, quella sera. Quando la porta della sua camera da letto viene aperta, uno spettacolo raccapricciante si staglia dinanzi agli occhi dei familiari. Alberica giace per terra, scomposta, un lenzuolo a celarne il viso ormai privo di vita. La stanza è messa a soqquadro. Nessuno ha visto o sentito nulla. Ma come è possibile che qualcuno possa introdursi nella stanza di una casa gremita di persone, perpetrare un omicidio così cruento e fuggire alla luce del giorno?

Mattei è già in ufficio, in quel momento. La sua assenza lo scagiona direttamente. Vengono seguite varie piste, la prima è senza ombra di dubbio quella passionale. È ovvio, per chi indaga in quel momento, che la donna possa essere stata uccisa per motivi d’amore. Due persone, fermate perché sospettate, vengono entrambe scagionate presto. Si tratta del figlio di un’insegnante di sostegno che lavora in quella casa, Roberto Iacono, e di un ex cameriere, il filippino Manuel Winston Reyes. Il primo pare abbia un temperamento violento, il secondo è stato poco tempo prima licenziato perché ha il vizio del bicchiere.

In assenza di una degna conclusione per questo delitto così violento, vengono seguite anche altre piste. L’assassinio di una donna così importante e conosciuta non può avere un epilogo semplice. Si parla di complotti, di segreti, di sporcizia nascosta sotto i tappeti. Si parla di fondi neri, di servizi segreti, di depistaggi, di conti esteri miliardari. Si parla anche di tangenti. Ma la verità è dietro l’angolo. Non la porterà alla luce un agente particolarmente motivato, né un investigatore o un medico legale ossessionato dalla vicenda. Nessun colpevole avrebbe pagato per la morte della contessa Filo della Torre se suo marito, Pietro Mattei, non si fosse più volte prodigato perché l’omicidio della sua amata trovasse un perché. È stato Mattei a far riaprire il caso nel 2007. Una macchia di sangue della grandezza di una moneta nel lenzuolo con il quale l’assassinio aveva avvolto la donna tanti anni prima e il Rolex di Alberica macchiato di sangue: ecco le due prove che, messe in un angolo dagli inquirenti, secondo Pietro Mattei recano la soluzione al rebus.

La Pm, Francesca Loy, fa riaprire il caso. Iniziano nuovamente le indagini. Ci si comporta come se il delitto fosse avvenuto il giorno precedente e non vent’anni prima.  Saltano fuori delle intercettazioni fondamentali mai tradotte. In più, l’esame moderno del DNA sulla macchia nel lenzuolo parla chiaro.  Il colpevole è il filippino che vent’anni prima è stato scagionato perché innocente – curiosità interessante quanto macabra – proprio grazie all’esame del DNA. Movente? Vendetta«Mi tolgo un peso che mi portavo dietro da vent’anni» dichiarerà Manuel Winston, confessando poi che per lunghi anni si è sentito angosciato da quella vicenda. L’uomo, allora ventunenne, in preda alla rabbia per il licenziamento, uccise la contessa stordendola con uno zoccolo e finendola per strangolamento.

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