Site icon cagliari.vistanet.it

La storia a lieto fine di Musa: dal Gambia al Carbonia Calcio. “Sono un cacciatore di sogni”

Musa.

Quella di Musa è la storia di chi ce l’ha fatta, nonostante tutto e tutti. Musa è un giovane di un villaggio del Gambia giunto in Sardegna a maggio 2017 a bordo di una nave che l’ha salvato dai pericoli del mare al largo della Libia. La sua traversata, narrata da lui stesso nel documentario “Crossings – Musa’s Story” dell’americano Scott Barker, comincia mesi prima, quando viveva ancora nel suo Paese.

Orfano di padre, che ha visto solamente in fotografia, è cresciuto con il supporto della madre, alla quale era molto legato. Musa ha sempre avuto un sogno: diventare calciatore. In Gambia, che fino allo scorso anno era retto da un dittatore al potere da 23 anni, ha cercato di coltivare la sua passione, ma in poco tempo la situazione è precipitata. La mamma improvvisamente si è ammalata e, a causa della carenza di medicine negli ospedali della nazione centro-africana, purtroppo è deceduta, lasciandolo completamente solo e in preda allo sconforto. Di qui la decisione di abbandonare il Paese.

Foto tratta dal documentario “Crossings – Musa’s story” di Scott Barker.

Decisione non facile, ma che per lui ha rappresentato l’unica via d’uscita. Il viaggio è cominciato dalla lunga ed estenuante traversata del deserto, «un luogo impervio, molto pericoloso perché si possono incontrare persone che ti derubano e ti lasciano solo in mezzo al nulla dove rischi di morire», racconta nel documentario proiettato ieri mattina al teatro Massimo nel corso della due giorni di incontri dedicata ai migranti dal titolo “Nois, la Sardegna che accoglie”. «Sono finito insieme ad altri profughi dentro il cofano della una macchina di un arabo che ci promise di accompagnarci. Stavo stretto, riuscivo a malapena a muovere il collo. Urlavamo, lui scese, sparò in aria ma io rimasi lì perché non potevo muovermi. Con il fucile ci picchiò e mi ferì alla testa».

Giunto in Libia, ha visto l’inferno con i suoi occhi: persone rinchiuse nelle prigioni solo per essere profughi, torturate e picchiate. «Per miracolo io non sono finito là dentro, ma vedere altra gente in quelle condizioni è stato scioccante». Nel documentario Musa racconta anche un altro particolare agghiacciante: «Stavo giocando con un ragazzo senegalese quando un signore del posto ci ha visti e si è arrabbiato con noi asserendo che lo stavamo disturbando; poco dopo ha preso il suo fucile e ha sparato due colpi, uno in aria, che fortunatamente non mi ha colpito, e l’altro dritto al petto del mio amico senegalese: per lui non c’è stato nulla da fare».  Musa non si arrese e, dopo aver lavorato duramente in Libia per racimolare soldi, decise di salire su quel gommone che lo avrebbe portato verso un futuro migliore. Una nave ong salvò i profughi e li portò a Cagliari.

Foto tratta dal documentario “Crossings – Musa’s story” di Scott Barker.

Spesso Musa si sente osservato per via del colore della pelle, ma non si scoraggia. «Sono stato accolto molto bene dai sardi e li ringrazio infinitamente». Oggi può dire di star coronando il suo sogno: ora è un giocatore del Carbonia e si allena quotidianamente. «Io non sono un migrante economico, questo termine non definisce la mia realtà. Io sono un cacciatore di sogni».

Exit mobile version