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(Gallery) Conosciamo la chiesetta di San Giovanni ad Assemini: una delle più antiche della Sardegna

 

La piccola chiesa che si trova nel centro storico del paese, a pochi passi dalla parrocchia di San Pietro, per alcuni aspetti è ancora avvolta nel mistero, su di essa infatti gli studiosi hanno elaborato ipotesi contrastanti tra loro a partire dalla datazione. Le prime notizie relative alla Chiesa di San Giovanni, risalgono al 1107 ed al 1108: la prima riferisce che Torchitorio II, Giudice di Cagliari, dona alla Cattedrale di San Lorenzo di Genova cinque domicilias, tra cui Assemini, in segno di ringraziamento per aver pattugliato le coste cagliaritane insediate dai musulmani; la seconda, confermata anche da altri documenti di poco posteriori, afferma che la Chiesa di San Giovanni viene donata al Capitolo della citata Cattedrale “con molte terre, boschi, pascoli, servi e bestie” e che agli stessi Genovesi ivi residenti sono riconosciuti privilegi fiscali.

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 San Giovanni Assemini 13  

In realtà però studi recenti farebbero risalire l’edificazione dell’edificio ad un periodo più antico, compreso tra la metà del VI e il VII secolo, per le caratteristiche strutturali e per alcuni dettagli decorativi, che la ricondurrebbero allo stesso contesto storico e architettonico che vide l’erezione, in Sardegna, della gran parte delle chiese ad impianto cruciforme come quella di San Giovanni. D’altra parte il ricco corredo di marmi decorativi ed epigrafici custoditi all’interno della chiesa, databili con relativa sicurezza ad età mediobizantina, tra il X e i primi dell’XI secolo non costituiscono di per sé prova della data di edificazione. Le epigrafi menzionano, infatti, alcuni personaggi della corte giudicale cagliaritana (Torcotorio e Getite, Nispella) collocabili in quest’epoca, ma si tratta di elementi di arredo di qualità elevata, da mettere in relazione con una delle fasi di vita dell’edificio, che possono essere stati collocati all’interno come parti decorative anche in epoche successive rispetto alla sua costruzione.

La pianta è a croce greca inscritta in un quadrato, con pseudo cupola all’incrocio dei bracci, cioè con due navate che si incrociano, coperte da volta a botte. Ai quattro angoli, altrettanti ambienti sono collegati internamente ai quattro bracci della croce, tramite poderose arcate, e sono coperti con tetti in legno. Il fatto di essere iscritta in quadrato la rende diversa da tutte le altre chiese bizantine in Sardegna che mostrano uno sviluppo planimetrico cruciforme. Infatti le altre chiese bizantine dell’isola presentano un impianto a croce libera con pseudo cupola centrale. Un altro mistero riguarda le quattro camere angolari. Secondo alcuni studiosi mostrano di essere state ricostruite (o realizzate ex novo a seconda delle interpretazioni fornite) in tempi successivi all’impianto in quanto costruite con murature eterogenee, formate da grossi blocchi squadrati disposti con scarsa regolarità e da pietrame più minuto affogato nella malta, mentre le murature originarie sono costituite, per la maggior parte, da conci ben squadrati di calcare locale, di media o grande pezzatura, messi in opera con relativa cura. Alcune testimonianze orali raccolte ai primi del Novecento – che non hanno tuttavia valore scientifico – testimonierebbero la costruzione dei quattro ambienti d’angolo in anni di poco precedenti la metà del XIX secolo. Altri studi sostengono che le quattro celle ai lati dei bracci principali dell’edificio nacquero insieme alla chiesa e che non furono un’aggiunta successiva, vista l’assenza, al di sotto degli archi, di qualsiasi opera di fondazione, a dimostrazione che il progettista aveva già ben chiara la struttura che sarebbe andato a realizzare. La evidente differenza nella tessitura muraria delle pareti delle celle, dimostrerebbe solamente che i quattro ambienti furono ricostruiti successivamente, forse alla metà dell’Ottocento. Si parla, ed ecco un altro mistero, dell’esistenza di un portico o di un loggiato, accanto alla chiesa, una sorta di cumbessias, la struttura tipica dell’isola, costruita per dare riparo ai fedeli provenienti dagli altri paesi, ma della presenza di questa struttura non si è trovata, alcuna conferma. Il profilo orizzontale della facciata è chiuso in alto da un campanile a vela a unica luce, di difficile collocazione cronologica.

Nel 1919 la Soprintendenza condusse una campagna di scavi al fine di esplorare l’area circostante e sottostante la chiesa e confermare un’altra ipotesi in voga all’epoca, ossia che l’edificio sorgesse al di sopra di una “cella cimiteriale romana” trasformata in cripta. Dagli scavi che dimostrarono infondata questa teoria, però emersero otto pilastrini marmorei, alcuni dei quali dalla facciata, altri dall’altare all’epoca demolito; è difficile spiegarne la presenza e la funzione, secondo alcuni studiosi potrebbero far parte di un cancello della chiesa oggi scomparso, oppure, più probabilmente, provenire dalla vicina Chiesa parrocchiale di San Pietro, ricostruita in epoca aragonese. La chiesetta all’interno risulta molto semplice, quasi austera, a parte la presenza di un pregevole capitello, del V sec d.C., murato vicino all’ingresso nella parete destra e riadattato ad acquasantiera; il capitello è del tipo composito a foglia d’acqua, a sei foglie lisce e ricurve verso l’esterno.

Nonostante la semplicità e le piccole dimensioni, la chiesa in alcuni periodi storici, doveva aver rivestito un ruolo molto importante, al suo interno infatti sono custodite due iscrizioni in lingua greca. In una di queste si parla del giudice Torgotorio o Torchitorio (sovrano di Kalari) che, secondo alcune fonti, potrebbe essere stato inumato all’interno della chiesa stessa. La prima iscrizione recita: «Signore soccorri il tuo servo Torgotorio Arconte di Sardegna e la tua serva Geti». Geti o Getite era la moglie dell’Arconte Torgotorio. Il titolo di Arconte era la carica affidata dalle autorità bizantine al governatore, un vassallo della corte di Bisanzio, al quale erano conferiti poteri supremi e grande autonomia. Nella seconda iscrizione si legge: «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, io Nisbella figlia di Ocote ho costruito il tempio dei Vescovi ed Apostoli Pietro e Paolo, di Giovanni Battista e della Vergine Martire Barbara perché con l’aiuto della loro preghiera il Signore Dio mi conceda il perdono per i miei peccati». Questa iscrizione era incisa su un architrave marmoreo che nel IX secolo costituiva il gradino d’ingresso della vicina chiesa parrocchiale S. Pietro ed è per questo che essa appare profondamente levigata. Secondo alcuni storiografi si tratterebbe di un elemento architettonico proveniente da una chiesa più antica.

La chiesa è visitabile tutti giorni feriali negli orari dell’ufficio parrocchiale della Chiesa di San Pietro dalle 9 alle 11 oppure dalle 16.30 alle 18.30. Per le scolaresche invece si può prenotare una visita telefonando in questi stessi orari all’ufficio della parrocchia al numero 070941565

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