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VIDEO “Bella ciao”, la vera storia di una canzone diventata inno di resistenza

Da brano della Resistenza, poco diffuso tra i partigiani, a canzone simbolo della liberazione dal nazifascismo fino un inno internazionale di libertà. La storia di “Bella ciao” ha origini misteriose e controverse, ma anche un straordinario successo mondiale. A riassumerla per Il Fatto Quotidiano, grazie alla penna di Andrea Giambartolomei, è Carlo Pestelli, musicista, cantautore e dottore di ricerca in Storia della lingua, autore del libro “Bella ciao. La canzone della libertà”.

Da storico Pestelli recupera le ricerche sui canti popolari dalle quali riemergono le somiglianze di “Bella ciao” con alcuni brani dell’Italia settentrionale ormai quasi dimenticati. “Bella ciao è una sorta di bignami che tiene conto di tante cose. Come dice il ricercatore Enrico Strobino è una ‘canzone gomitolo’ in cui si riuniscono molti fili”. Come è arrivata alla seconda guerra mondiale? Innanzitutto va sfatato un mito: a lungo si è ritenuto che “Bella ciao” derivasse dai canti di lavoro delle mondine, le donne che coglieva il riso. “In realtà la versione delle mondine è nata dopo, negli anni Cinquanta”, spiega Pestelli. Citando gli studi di Cesare Bermani, autore de “La ‘vera’ storia di Bella ciao”, il musicista ribadisce che “Bella ciao” non era il brano partigiano più diffuso.

 

Soltanto tempo dopo è diventato il brano partigiano per eccellenza. “Accade alla fine degli anni Cinquanta quando si ha la necessità di unificare le varie anime della Resistenza, quella comunista, socialista, cattolica, liberale, monarchica-badogliana – riassume -. Non si poteva usare ‘Fischia il vento’ o altri canti politicizzati. ‘Bella ciao’ slega la Resistenza dalle appartenenze di partito e racconta qualcosa che può essere atemporale”. Ed è per questo che il congresso Dc che elesse come segretario il partigiano Benigno Zaccagnini si concluse sulle note di “Bella ciao”, mentre dopo l’incisione dei Modena City Ramblers e i governi Berlusconi, identifica la sinistra.

La sua popolarità arriva più tardi. Nel 1963 lo chansonnier francese di origine toscane, Yves Montand (al secolo Ivo Livi) incide il brano che avrà un successo internazionale e, di riflesso, lo riporterà in auge anche in Italia, dove verrà eseguito da Milva e Giorgio Gaber. Poco dopo sono il festival di Spoleto e anche il Nuovo Canzoniere Italiano dell’entomusicologo Roberto Leydi (autore de “La possibile storia di una canzone”), che nel 1964 porta sui palchi italiani l’ex mondina Giovanna Daffini in uno spettacolo chiamato “Bella ciao”.

Da lì in poi si è diffusa ovunque: secondo Pestelli il tema della libertà contro un oppressore non precisato lo hanno reso un brano adattabile, adottato dai braccianti messicani in California, dai curdi e dai turchi, dagli ucraini anti-Putin e da quelli filorussi fino alle manifestazioni a seguito della strage di Charlie Hebdo.

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