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Aumenta la presenza delle plastiche nel mare sardo, la sensibilizzazione è l’arma più efficace per la salvaguardia ambientale

rifiuti spiaggiati

Andrea De Lucia è un ricercatore romano specializzato in ecologia marina. Da 15 anni sale su una barca e fa il giro delle coste della Sardegna per monitorare la salute del nostro mare. Dal 2003, infatti, lavora presso il CNR di Oristano. La sua è la classica missione di Davide contro Golia ma Andrea è un sognatore con i piedi ben ancorati a terra, nonostante la passione per il mare: «Quando uno pensa alla Sardegna subito si immagina bianche spiagge e acqua cristallina. Ma questa è solo l’apparenza della superficie. Anche il mare sardo è altamente inquinato dalla plastica e va preservato».

E sì, perché recenti studi effettuati sulle coste da Oristano a Gibilterra e tra Olbia e la Toscana hanno evidenziato la presenza di almeno due chili di plastica in mare ogni chilometro quadrato. Una media altissima rispetto alle previsioni iniziali che si attestavano sotto al chilo. «Non dobbiamo però pensare che si tratti di un problema solo sardo. – sottolinea Andrea – La Sardegna anzi è una delle pochissime zone di tutto il Mediterraneo che sta investendo forte sul monitoraggio del cosiddetto marine litter (banalmente i rifiuti marini, ndr.). Al momento risulta come una delle zone più inquinate semplicemente perché di moltissime altre aree marine del Mediterraneo non si hanno studi certi. Per esempio dai primi campionamenti il tratto di mare tra Malta e la Sicilia pare avere una concentrazione maggiore di plastica. Ma ancora non ci sono studi a riguardo».

Il problema comunque non è chi ha più plastica e chi ne ha meno. «Il mare – dice Andrea – non ha confini. Non è come uno spazio di terra che puoi ripulire. Ogni nazione deve fare la sua parte. Ci vogliono dei piani internazionali per il recupero e la sensibilizzazione. L’Europa in questo senso ha fatto alcuni passi avanti stabilendo dei modelli di monitoraggio, analisi e ripulitura standard che tutte le nazioni dell’Unione devono seguire».  Ma non sembra essere abbastanza: «Nonostante la lotta agli oggetti in plastica e il tentativo di creare una cultura del riciclo i numeri sono spietati. La plastica presente nei nostri mari è in aumento».

Ma come si fa a monitorare la salute del mare? «Per prima cosa – dice Andrea – dobbiamo capire che l’analisi della presenza della plastica in acqua si suddivide in tre fasi. Il monitoraggio delle macro-plastiche (ovvero gli oggetti più grandi). Il campionamento delle micro-plastiche, ovvero le parti piccolissime e più pericolose perché invisibili all’occhio umano e perché possono essere ingerite. E infine il recupero delle plastiche spiaggiate, ovvero le macro-plastiche portate dalla marea a terra. In Sardegna le plastiche spiaggiate sono un problema importante soprattutto a causa del Maestrale. Il vento tende a portare diverse macro-plastiche sulle spiagge a Ovest dell’isola. Non è un caso che i litorali dove raccogliamo più plastiche spiaggiate siano quelli di Is Arutas, Piscinas e Scivu».

Quali effetti hanno le plastiche sull’ecosistema marino? E sull’uomo? «Per capire gli effetti della plastica sulle specie marine effettuiamo due tipi di campionamenti. Per analizzare le macro-plastiche monitoriamo lo stile di vita delle tartarughe marine. La presenza delle macro-plastiche sta letteralmente indebolendo questa specie. Spesso ingoiano delle buste, rimangono incastrate in bottiglie o anelli di plastica. In questi anni ne abbiamo salvate tantissime. Per capire gli effetti delle micro-plastiche invece si analizzano alcuni pesci e le cozze. In diversi esemplari si è riscontrata la presenza di polimeri e additivi della plastica. Al momento non ci sono studi ufficiali sull’argomento ma è innegabile che alcuni di questi additivi vengono trasferiti dall’intestino ai tessuti e ai muscoli dell’animale e quindi ingeriti anche dall’uomo quando mangia del pesce contaminato».

Quali interventi sta facendo il Cnr di Oristano per migliorare la situazione? «Può sembrare incredibile ma in un problema così grande e diffuso bisogna partire dal basso. Per questo ci concentriamo molto sulla formazione e la sensibilizzazione con le scuole. Spesso con i ragazzi andiamo nelle spiagge del Sud e dell’Ovest Sardegna per raccogliere le plastiche e i rifiuti spiaggiati. E quando andiamo a liberare le tartarughe marine dalle plastiche cerchiamo di coinvolgere tutta la popolazione della zona interessata. Una bottiglia di plastica lasciata in spiaggia si può recuperare ma se resta sul litorale e torna in mare nel giro di cinque anni diventerà una micro-plastica e allora recuperarla sarà complicato, se non impossibile». Insomma, il futuro del mare sardo passa anche dalla nostra consapevolezza. 

 

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