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Demolizioni a Sant’Elia: quando Sciola, altri artisti e gli abitanti studiarono insieme per riqualificare il quartiere

Favero

In alto i Palazzi del Favero oggi, in basso il progetto dei primi del 2000

Ha fatto molto discutere, in questi giorni, la notizia della demolizione dei palazzi del Favero a Sant’Elia. Si parla del trasferimento dei residenti in attesa della costruzione di nuovi alloggi, ma la politica ancora non dà risposte certe riguardo ai tempi di attuazione e ai luoghi nei quali verrà fatta convergere la popolazione. La decisione è guardata con grande preoccupazione dagli abitanti, che lamentano una situazione di totale incertezza e di mancato dialogo da parte delle istituzioni. Eppure, nei primi anni 2000, un progetto denominato “10 artisti per le case del Favero” prevedeva un futuro diverso per il quartiere. I più grandi artisti e architetti sardi mettevano a disposizione le proprie competenze: l’obiettivo era costruire un nuovo volto per Sant’Elia e sarebbero stati i suoi stessi abitanti a dire come.

A dispetto della sfiducia di molti, la popolazione aderì entusiasta all’iniziativa. Come spiega la storica dell’arte Michela Buttu: «La comunità manifestava un forte senso di attaccamento a quei luoghi, dichiarava di non voler vivere altrove. Allo stesso tempo però, dal punto di vista sociale lamentavano un fortissimo disagio, legato anche al fallimento delle scelte urbanistiche compiute fino a quel momento, che non avevano fatto altro che favorire lo spaccio di droga e altre attività illecite». Dal 1998 iniziarono gli incontri: riunioni a cui la gente di Sant’Elia costantemente partecipava, esprimendo le proprie esigenze, proponendo cambiamenti, delineando le forme che riteneva ideali per il quartiere. D’altronde, chi meglio di loro poteva conoscere i limiti, le risorse e i bisogni di quella realtà? Dall’altro lato, a dare forma concreta a quelle richieste, c’erano i grandi nomi dell’arte sarda: Pinuccio Sciola, Rosanna Rossi, Bepi Vigna, Tonino Casula, Mirella Mibelli, Lalla Lussu, Gianfranco Pintus, Gabriella Locci, Carla Orrù, Lidia Pachiarotti e Anna Marceddu, tutti coordinati dall’architetto Federica Orrù.

Il progetto di riqualificazione

Poteva sembrare un sogno avventato e invece, quando il Ministero dei Lavori Pubblici presentò il bando di concorso relativo ai Contratti di Quartiere I, il progetto cagliaritano partecipò e vinse, sbaragliando la concorrenza di altre città italiane. Sul piatto, come riportava l’Unione Sarda in data 25 novembre 2005, c’erano 30 milioni di euro di fondi pubblici. Si iniziò davvero a sperare che un futuro migliore per Sant’Elia fosse possibile.

Nel progetto, proprio a ribadire l’identità del quartiere, per ogni condominio era previsto un nome riferito agli elementi del paesaggio naturale del Golfo e ci sarebbe dunque stato quello del Sole, del Vento, del Mare, della Sabbia e della Luna; inoltre i ragazzi del Favero si misero a caccia di materiale fotografico, perché l’idea era quella di riprodurre, sulle facciate dei palazzi, i volti e le storie degli abitanti.

Uno dei murales di Anna Marceddu

Forme e proporzioni di edifici e elementi d’arredo urbano erano curate meticolosamente dagli architetti: le piazze, disegnate da Pinuccio Sciola, dovevano essere il luogo ideale per accogliere le vibrazioni delle sue pietre sonore. Nel complesso il quartiere doveva assumere un volto curato e giocoso.

Pinuccio Sciola e una delle sue opere

I risultati dell’iniziativa, a cui nel 2003 era stata dedicata anche una mostra presso il Lazzareto, si dimostrarono stupefacenti. Non sono la popolazione si era sentita nuovamente parte attiva di quei luoghi, ma tutto il quartiere, ritenuto periferico e quasi inaccessibile agli estranei, aveva aperto le sue porte per diventare terreno d’incontro per giornalisti, critici d’arte e semplici curiosi.

Eppure, purtroppo, non possiamo dire che la storia abbia avuto un lieto fine. I lavori iniziarono, ma si interruppero ben presto, quando solo il 20% del progetto era stato portato a termine. I soliti intoppi burocratici non tardarono a manifestarsi: l’impresa responsabile dei lavori ebbe dei problemi, lo IAPC (l’Istituto Autonomo Case Popolari) si disinteressò della prosecuzione delle attività e così, lentamente, l’iniziativa che poteva cambiare le sorti di Sant’Elia cadde nel dimenticatoio. La fiducia della gente, tanto faticosamente conquistata, iniziò a incrinarsi e sul destino del quartiere prevalse di nuovo lo scetticismo. La parola “riqualificazione” lasciò sempre più spazio alla parola “demolizione” e quella sinergia tra intellettuali, politica e popolazione sembrò essere caduta nel vuoto. La cronaca di questi giorni rappresenta l’ennesima pagina nella storia di quel quartiere che avrebbe voluto non essere più un ghetto.

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