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Vistamusic. A suon di blues con Irene Loche: “La chitarra il mio posto giusto. Sardegna piena di risorse e qualità, ma…”

Per la nostra rubrica “Vistamusic“, oggi vi presentiamo Irene Loche: cantante, 25 anni, proveniente da Oristano. Carriera caratterizzata dagli inizi con i Sunsweet Blues Revenge, per poi concentrarsi anche sul percorso da cantante solista.

Classe 1992, ma vanti già un curriculum di grandissimo rispetto. Hai iniziato con i Sunsweet Blues Revenge, per poi intraprendere il percorso da solista. Che differenze hai riscontrato tra i due mondi?

Il trio mi ha aiutato a tirare fuori dal cassetto questo progetto solista che in realtà ha origini ben più remote. Suoniamo da dieci anni insieme e grazie a loro, alle esperienze che abbiamo vissuto, ho imparato tantissimo. Tanto, ho imparato dalle persone che ho incontrato in ogni serata sopra o sotto il palco, e questo mi ha dato il coraggio per uscire come solista. Ho imparato che è il pubblico che insegna e che racconta, prima di chi suona.

Qual è stato il tuo primo approccio alla musica? Quando hai capito che la chitarra sarebbe diventata la tua migliore amica?

Ho iniziato da piccolissima, circondata da musica e dischi. Mio padre mi ha dato i primi accordi e mi ha insegnato l’importanza delle parole. Ho sempre avuto una forte attrazione per la chitarra, in lei ho trovato “il posto giusto” dove stare e così ho saputo che non l’avrei lasciata.

Possiamo definire il tuo percorso di crescita come un passaggio da un blues più “incazzato”, ad un pop leggermente meno aggressivo e più pacato?

Non saprei, posso dire piuttosto che entrambi esprimono me stessa. Il Blues è sempre presente, mi sta dando nuovi spunti per i prossimi lavori e il nuovo disco sposerà queste due realtà.

Quante difficoltà si possono riscontrare nel fare musica in Sardegna e nell’affermarsi in maniera totale?

È un processo lento e difficile perché inspiegabilmente i primi a dare meno valore a ciò che abbiamo siamo noi stessi, eppure la Sardegna è una terra piena di risorse e di qualità. C’è poca consapevolezza, forse perché non abbiamo la possibilità di confrontarci con altre realtà vicine come gli altri, in Italia e oltre. La distanza e i costi giocano a nostro sfavore, ma con il tempo le cose stanno cambiando..noi stiamo cambiando.

Ci sono differenze di emozioni, stati d’animo, pensieri, preoccupazioni, nell’approccio ad un concerto da solista rispetto ad un concerto con una band?

Assolutamente sì e dipende, oltre che dal sostegno di altri musicisti, anche dall’intensità e intimità del messaggio che si vuole comunicare. Il progetto solista ha una carica talmente forte proprio perché è senza veli. Le canzoni raccontano di eventi ed emozioni vissute in prima persona e questo cambia tutto per chi ascolta e per chi suona.

Ho ascoltato molto attentamente “Garden of Lotus”: un disco molto riflessivo, curato nel dettaglio, con una piccola vena di malinconia. Allo stesso tempo, però, mi ha trasmesso una carica totale e un chiaro messaggio all’ottimismo. Esiste realmente questo leggero aspetto contrastante?
Esiste, ed è parte fondamentale. Serve tutto, bene e male, la cosa difficile sta nel fidarsi di ciò che ci accade, degli eventi e anche o soprattutto delle scelte sbagliate.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Che consiglio daresti a chi vorrebbe abbracciare il mondo della musica?

Il nuovo disco è tra le prime cose. Sto viaggiando molto e sono grata di questo, la mia speranza è di continuare così e di crescere. Il mio consiglio è di perseverare sulla propria identità, sempre e comunque, ancora di più se ci sono difficoltà e delusioni e non solo per chi suona. Rischiare. La chiave è investire su se stessi e sulla propria identità.. la chiave è essere la nostra catena di montaggio. Io credo così.

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