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La violenza sulle donne. Un male culturale con il quale si convive, spesso inconsapevoli

Male parole, denigrazione verbale, violenze psicologiche che sfociano poi spesso in quelle fisiche e che, sebbene evidenti, non sempre vengono denunciate per paura o perché non le si ritiene un vero problema. «C’è ancora un’alta percentuale di donne che vivono in un contesto violento – sostiene Silvana Maniscalco, Presidente del Centro antiviolenza Donna Ceteris di Cagliari – e i motivi che bloccano queste donne a non chiudere le relazioni violente non sono esclusivamente strumentali ed economici. Alcune si convincono a denunciare ma poi, una volta portato avanti l’iter, ritrattano».

I numeri a Cagliari. Sono state 117 nel 2016 le donne che si sono rivolte al Centro Donna Ceteris di Cagliari, il 56% di loro aveva tra i 31 e 50 anni, anche se è in aumento (22%) la percentuale delle più giovani, fra i 18 e i 30, che si rivolgono al centro. «Questo dato ci preoccupa e deve farci riflettere molto – continua Silvana Maniscalco – perché spesso nei casi delle più giovani, sono le madri che si rivolgono a noi per dare aiuto alle figlie vittime della violenza del partner». I dati raccolti dal Centro Donna Ceteris di Cagliari descrivono una situazione eterogenea che conferma quanto questo fenomeno abbia dei tratti ricorrenti e assuma, però, di volta in volta caratteri nuovi che gli esperti devono esaminare costantemente. Nel 33% dei casi seguiti le violenze sono fisiche, seguono poi quelle psicologiche (28%) ed economiche (20%) e lo stalking (11%).

Chi sono le donne vittime di violenza. Le violenze sono dentro il matrimonio per il 43% delle donne rivoltesi al centro, mentre per il 31% le vittime sono nubili. È opinione comune poi che tutte le donne vittime di violenza abbiano un basso livello di istruzione. Smentisce questa credenza la situazione cagliaritana dove il 35% delle vittime ha un diploma, il 30% la licenza media e il 16% una laurea di secondo livello. E non tutte sono disoccupate (a Cagliari, il 39%), anzi, sono tante le vittime che hanno un impiego (il 27% ha un lavoro occasionale, 18% impiegate), alcune sono addirittura professioniste e questo ribadisce ancora una volta quanto la violenza domestica sia un fenomeno trasversale. Sono prevalentemente italiane, poi, perché le straniere stentano ancora a chiedere aiuto in queste situazioni. Le straniere che si sono rivolte al centro sono state ne 2016 tra 10 e 15, molte provengono dall’Europa dell’est. Un dato che non deve far pensare ad una minore incidenza di questi reati contro la popolazione straniera in città, bensì fa riflettere sull’incapacità di queste donne di denunciare le violenze subite.

Lui chiede scusa, lei lo perdona. La fenomenologia di queste violenze è sempre la stessa e vede l’alternarsi di periodi di soprusi a dei periodi buoni, la cosiddetta “luna di miele”, in cui l’uomo chiede scusa, si pente, fa promesse alla donna che, fiduciosa, si convince di poter cambiare il comportamento del partner. La convinzione di un cambiamento porta le donne a non denunciare il partner; accanto a questa, poi, c’è anche la paura di rimanere da sole ed essere abbandonate, anche economicamente. «Uno degli strumenti per dare forza a queste donne è il lavoro –spiega Silvana Maniscalco – fare in modo cioè che sparisca questo vincolo a senso unico fra i due e che la donna riacquisti la sua indipendenza».
Difficoltà economiche e perdita di lavoro. La crisi economica ha sicuramente accentuato questi fenomeni favorendo il crearsi di una situazione familiare nuova nella quale è la moglie a portare a casa lo stipendio che prima magari portava anche o solo il marito. Tutto ciò, visto da una prospettiva maschilista dell’economia domestica destabilizza e crea dei problemi nei rapporti fra i coniugi.
Conferma queste dinamiche lo stesso identikit del maltrattante – coniuge o convivente – che, nelle casistiche riportate ha per il 50% un’età compresa fra i 31 e i 50 anni e per il 27% fra i 51 e i 70 anni. Chi maltratta è nel 43% di questi casi il coniuge, mentre per il 35% un convivente; ha generalmente un basso livello di istruzione (nel 38% dei casi riportati dal centro il violento aveva la licenza media) ed è per la maggior parte disoccupato (45% dei casi).
Educazione al rispetto e supporto alle donne che denunciano. «A Cagliari, le forze dell’ordine e i servizi sociali danno un grande supporto ai centri e si lavora bene – spiega Silvana Maniscalco -. Le denunce per violenza sono tante ma non perché qui ci siano più uomini violenti che in altre città: semplicemente qui le donne hanno il coraggio di denunciare perché, pur con tante difficoltà, trovano un supporto prima e dopo la denuncia. La denuncia – prosegue – deve essere accompagnata da un percorso consapevole che dev’essere costruito con la donna e non sulla donna».
I numeri da soli non servono a descrivere un fenomeno che è ampio e che riguarda la nostra società a diversi livelli. E allora forse si dovrebbe ripartire dall’educazione, un’educazione al rispetto reciproco che è quella che molto semplicemente servirebbe a tutti, uomini e donne, per non cadere ad esempio nel vortice dei commenti gratuiti e banali che rinforzano soltanto gli stereotipi femminili nei quali poi si possono innestare queste violenze.

«Noi lavoriamo ogni anno nelle scuole per diffondere la cultura del rispetto e insegnare a riconoscere i segni anche celati di violenza quotidiana – racconta ancora Silvana Maniscalco -. Sono due le strade da percorrere: la prima è quella che ridà dignità alle donne vittime, un’indipendenza economica attraverso il lavoro e la formazione; la seconda – conclude – è l’educazione delle giovani generazioni che sono circondate da forme di violenza, verbale, fisica e psicologica, alle quali ormai sono purtroppo assuefatte».

 

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