L’una di notte, 26 giugno, Quartucciu. Nei corridoi del Carrefour si aggira un po’ di gente. Durante l’estate l’orario e h24 e per nottambuli, lavoratori diurni e turisti la spesa si può fare anche quando il sole è calato ormai da molte ore. C’è solo un problema: fa caldo, troppo caldo e il motivo è molto semplice: l’aria condizionata è staccata.

«Ci hanno detto che i motori sono rotti, chissà», dice il personale. Qualcuno, per concedersi un minuto di refrigerio, racconta di essersi andato a fare una breve passeggiata nella zona dei banchi frigo. Guasto o risparmio? Quel che è certo è che di giorno l’aria condizionata è in funzione al contrario della notte. Le temperature di questi giorni, piuttosto alte, non aiutano e oltre ai disagi avvertiti da alcuni clienti, anche i lavoratori dell’ipermercato faticano a lavorare in queste condizioni.

Donne sarde, donne di carattere. Lo si dice spesso e a volte la storia interviene a corroborare questa tesi. Un primato in rosa molto particolare spetta infatti a una donna sarda, Grazia Pinna, cagliaritana residente in Toscana. Nel febbraio del 1979 passò alla storia per essere stata la prima donna arbitro d’Italia.

Come racconta un articolo de L’Unione Sarda del 14 febbraio 1979, Grazia Pinna, precedentemente commessa della Rinascente di Cagliari, dal «corpo minuto e gli occhi intensi», si era trasferita dal 1962 in Toscana per seguire il marito, un pasticciere, poi scomparso prematuramente. Allora 35enne, vedova e madre con due figli, fu scelta ufficialmente dall’Uisp per arbitrare partite di calcio.

Un primato conteso però da altre donne, tutte sarde o con legami con la Sardegna. Quando infatti uscì la notizia di Grazia Pinna, una 32enne di Guspini cresciuta a Terralba ed emigrata a Roma, Agnese Carta, raccontò di aver arbitrato da più tempo per conto della Fia. Come lei altre due donne, Placida Marrosu, anche lei sarda, e Paola Oddi, romana, ma sposata con un uomo di Bitti. Tutte in realtà arbitravano match da diversi anni. L’eccezionalità di Grazia Pinna fu proprio il riconoscimento da parte dell’Uisp, allora ancora negato dalla Figc, autorità competente per le altre tre donne.

Di chiunque sia stato il primato, una cosa è certa: per “mettere la gonnella” a un arbitro ci voleva per forza di cose una sarda.