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Intervista a William Piseddu, visionario creatore delle “Is Crapitas”, le scarpe su misura con i 4 mori

William Piseddu

 

«In sa vida non contada su passu chi fais, ma s’impronta chi lassas». Questo è il motto di William Piseddu, laureato in ingegneria all’Università di Cagliari, ma poi diventato esperto di marketing e soprattutto creatore, per la storica azienda toscana di Fucecchio, la Ryal, delle scarpe con i 4 mori cuciti sopra. “Is Crapitas”, le scarpe in sardo, un prodotto di assoluta eccellenza realizzate a mano e su misura con cuoio di vitello primo fiore. Parlando con lui si ha la sensazione di avere davanti un visionario. Per lui la Sardegna e i 4 mori, visti e vissuti da lontano, sono la spinta, la sua positività. Una positività che secondo lui tutti i non sardi avvertono. E la vogliono, nelle loro scarpe, nel vino o nella birra che vogliono bere, nelle vacanze che vogliono fare. Lui questa positività l’ha presa e l’ha messa su delle scarpe.

Le scarpe ideate da William Piseddu e promosse su Facebook

Chi è William Piseddu?

Prima di tutto sono marito e padre di due bambini, uno di quattro anni e uno appena nato. Spero di rimanere tutta la vita un sardo doc. Sono sardo dalla testa…ai piedi. Prima nel cuore però. Sono nato a Cagliari, ma cresciuto a Suelli in Trexenta e i miei nonni erano dal nuorese. Ho vissuto circa 15 anni a Cagliari dove ho fatto l’Università e mi sono laureato in Ingegneria civile.

Cosa spinge un ingegnere civile a voler “fare le scarpe” a qualcuno?

Ho sempre avuto una passione per la vendita e quindi secondo me nelle scarpe ho trovato innanzitutto un modo nuovo di fare marketing. Spero di farlo “al passo coi tempi” visto che il marketing è fatto di dinamicità e nuove idee. Io sbarco in Lombardia, a Milano, è avvenuto per caso. Lì ho avuto la possibilità di sviluppare il progetto delle scarpe e me ne sono innamorato. Fin da bambino ho sviluppato la passione per il commercio e così ho deciso che volevo vendere qualcosa di diverso. Mi sono appassionato al mondo del marketing durante il mio periodo universitario, quando ho lavorato per Vodafone e altre aziende molto all’avanguardia.

Che differenza c’è tra progettare un palazzo o una strada e progettare una scarpa?

Le differenze sono grosse sia per le dimensioni dell’oggetto sia per l’importanza, ma quando si progetta non c’è differenza se pensiamo alla positività ultima dell’oggetto che stiamo costruendo. Qual è la positività ultima? Che si costruisca una scarpa o un palazzo bisogna soddisfare il concetto di stabilità e di comodità di una persona. Le dinamiche sono diverse ma parliamo sempre di sollecitazioni, carichi e torsioni, sempre che non stiamo progettando scarpe che hanno il costo di produzione di un euro. Salvatore Ferragamo vende scarpe a mille euro al paio. Chi le vede magari si scandalizza. Prima di dire che non le compreremmo mai, bisognerebbe che conoscessimo la storia che c’è dietro a quella scarpa. «Noi trascuriamo i nostri piedi con profonda ingratitudine. Li usiamo praticamente sempre e li trattiamo malissimo. Una cattiva postura derivante da una cattiva scarpa è il 70% delle cause dei nostri problemi». Questa frase è sua. Lui faceva le scarpe per gli altri pur non avendone ai suoi piedi. Non è uno scherzo, bisogna fare tutto con un criterio. Lui per esempio studiava medicina e nelle scarpe ci metteva anche queste conoscenze.

«In sa vida non contada su passu chi fais, ma s’impronta chi lassas». Ci spieghi il tuo motto?

Essere sardo significa essere una persona forte e determinata, testarda. Questo è il motivo per cui le mie scarpe sono andate avanti. Mi sono accorto che questa nostra sardità è anche un modo per cui gli altri ci apprezzano anche quando siamo lontani dalla nostra isola. Quando noi andiamo fuori gli altri avvertono il nostro modo di essere. Siamo tutti diversi ma gli altri si accorgono di una positività generale del sardo. In Australia, in Canada, a Milano, ovunque gli altri si accorgono che lasciamo la nostra impronta. L’aggettivo sardo viene sempre associato a noi dagli esterni. Non capita con un pugliese. La frase l’avevo letta su un tagliere in sughero, di quelli in cui si mette la carne dopo averla arrostita. Ho pensato in quel momento che effettivamente è proprio quello che ognuno si augura di quello che facciamo. La cosa più importante non è fare tanti passi ma quali passi facciamo. Un modo diverso di parlare con le persone.

La scarpa a propria immagine e somiglianza. Da dove nasce l’idea?

Penso che quando si dice che siamo leader nel mondo non sto sbagliando qualcosa. Ryal, l’azienda per cui lavoro, è in commercio dal 1946, da 71 anni.  Ha sempre prodotto scarpe di successo, che in qualche modo ha notato qualcuno, magari un vip o un calciatore. Ne hanno notato la differenza. Penso di non avere scoperto l’acqua calda. Ci sono tanti che fanno scarpe su misura. Spero però di aver creato un nuovo modo di accontentare le persone. Ognuno di noi è diverso e ha un suo stile. Non volevo fare una collezione di scarpe uguali, perché è così che nascono le capre. A fare le scarpe tutte uguali ci sono altre aziende che conosciamo, senza fare nomi. Facendo scarpe tutte uguali saremmo già morti. La scarpa non può costare troppo poco perché la qualità viene prima di tutto, ma non può costare troppo perché è giusto che se la possano permettere quasi tutti.

Chi cerca un prodotto come il tuo?

L’utilizzatore di una scarpa di questo tipo è molto vario sia per il prezzo sia per la qualità e ricercatezza. Politici, imprenditori. Un pastore del nuorese mi ha scritto dicendomi che gli sono piaciute le nostre scarpe e che quando torna a casa da lavoro utilizza solo quelle. Ne ha due paia, nere, molto sobrie. Dice che sono comodissime. La nostra clientela è molto variegata. Ieri ci ha contattato una persona dalla Toscana. Noi facciamo la “Florence”, una calzatura con un giglio rosso e lui ne ha acquistate un paio qualche tempo fa. Lui è venuto in Sardegna tantissimi anni fa, ma si ricorda sempre di quella visita. Ieri mi ha contattato per dirmi che le scarpe vanno benissimo. Mi ha detto poi che vuole un paio di scarpe verdi mimetiche con i 4 mori. Ma non quelle normali, vuole quelle con la mia firma dietro. Un gesto di stima per me e per la Sardegna. Penso che questa Sardegna ritorni sempre. Ritorna sempre la sua positività. Gli altri la riconoscono come un valore aggiunto.

Parliamo di marketing. Negli ultimi anni la Sardegna, la sardità e soprattutto i quattro mori sono diventati un brand, un valore aggiunto. Tu forse sei stato uno dei primi ad avere questa intuizione. Perché c’è voluto così tanto?

Voglio dire che grazie a Dio esistono diverse persone che se ne sono accorte. La mia idea è questa. Tempo fa, tra gli anni ’70 e ’80 l’economia girava a una velocità molto superiore rispetto a oggi. Si aveva poco la possibilità di pensare a una o all’altra bandiera o forse semplicemente non ce n’era bisogno. Io ho vissuto in quegli anni e ho visto quelli che sono stati i cambiamenti. Erano anni molto positivi. Mio fratello dice che «siamo la prima generazione che sta peggio della precedente». Credo di aver fatto esperienza di questi cambiamenti. Durante la mia tesi dicevo a tutti che doveva cambiare qualcosa, altrimenti rischiavamo di cadere. Secondo me io come altri abbiamo tentato di far fronte a questi cambiamenti producendo una nuova positività. Anche i quattro mori e la Sardegna sono questa positività.

Cosa funziona ancora nel Made in Italy?

Funziona e continua a funzionare nonostante qualcuno dica di no. Il made in Italy piace nel mondo. Della Sardegna, della Barbagia  o dell’Ogliastra, fuori arriva il classico proceddu. Si esporta anche qua in Italia. Giapponesi e cinesi quando arrivano in Italia fanno mambassa di prodotti italiani. Il prodotto piace ancora. Moda, arte, cibo, vino. Chi è che nel mondo può parlare di vino? È evidente quanto sia in crescita l’export del vino italiano e sardo all’estero. Il prodotto made in Italy funziona. Ma solo quello autentico, che cura al 100 per cento le tradizioni e artigianalità che ci sono in Italia. Ci sono ancora tante realtà universalmente riconosciute.

Tanti sardi vivono a Milano e la maggior parte sembra trovarsi bene. Cosa c’è in più rispetto alla Sardegna e cosa manca invece?

Io abito in un piccolo paese a metà strada tra Como e Milano. È vero che ho tanti amici sardi qui. Stanno bene sì, purché non siano piagnoni. Il problema è che uno si deve integrare in un mondo totalmente diverso. Chiaramente sì, ti manca il mare, il suo profumo, ma io non sono una persona che piange e si lamenta. Mio figlio ha 4 anni, parla in sardo, con lui parlo in sardo, quando gli dico “cullera” lui mi capisce, lo sa che sto parlando del cucchiaio. Ci si trova bene quando non si piange e basta. Si deve abitare solo nella propria vita. I trasporti vanno benissimo, il resto sono tutte cose opinabili, la sanità funziona meglio perché forse ci sono più soldi, mandati in modo diverso da Roma alle diverse regioni. Manca la tranquillità, il ritmo differente. Io però non sono un nostalgico e credo questo sia il mio segreto.

Cosa vuole fare “da grande” William Piseddu?

Spero di essere già grande visto che ho 39 anni. Mi piace credere nei sogni, ne ho altri che sono quelli a lunga scadenza. Un amico conosciuto tanti anni fa, il grande Beppe Recchia, mi diceva di credere sempre nei miei sogni e in particolare in quello di Is Crapitas. «Ma è tutto un sogno gli dicevo». L’altro giorno mi ha scritto su Facebook: «Su queste cose che tu mi stai dicendo devi credere di più». Si riferiva al mio nuovo sogno, quello di abbinare il vino e le scarpe. Secondo me l’abbinamento ha dei collegamenti importanti. Il vino non è solo buono, il vino è anche moda. Una persona che beve un Turriga o un Sassicaia allora può apprezzare di più le scarpe 4 mori. La clientela è la stessa. In America c’è già qualcuno che fa delle foto in cui viene abbinata una scarpa elegante a un vino importante (medio rispetto a quelli italiani). C’è qualcuno che ha già sentito questa cosa in Sardegna, ma ha paura di buttarsi. Tutto cambia e bisogna adattarsi. Le scarpe che si producevano in Sardegna una volta oggi non si vendono più, le mie sì. Non può essere un caso che Giorgio Armani abbia partecipato al Vinitaly. Il vino è moda, come le scarpe, insieme possono andare lontano.

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