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Convivere con l’endometriosi. La testimonianza della tortoliese Sara Depau

   

Si è iniziato a parlare correttamente e diffusamente soltanto negli ultimi anni di endometriosi, una patologia cronica che si stima interessi circa il 10% della popolazione femminile. L’endometriosi è una patologia invalidante, responsabile di una serie di disturbi che possono compromettere seriamente, nei casi più gravi, la qualità della vita di una donna. A questo si aggiungono anche i problemi legati alla fertilità che l’endometriosi può comportare.

Oggi ne parliamo con Sara Depau, impiegata 49enne tortoliese, che fin da ragazzina fa i conti, quotidianamente, con questa malattia. 

A quale età ti è stata riscontrata l’endometriosi? Quanto tempo è trascorso tra primi sintomi e diagnosi?

Avevo compiuto 28 anni da pochi giorni, quindi nell’ottobre del 1999. Soffrivo da tanto tempo, ma i dolori erano cambiati nell’estate del 99. Dolori forti all’addome, che si diffondevano, si irradiavano. La diagnosi è stata data da una giovane dottoressa presso l’ambulatorio della guardia medica.

Quali sono stati i sintomi iniziali della tua endometriosi e come si sono evoluti?

Avendo sofferto sempre durante il periodo delle mestruazioni, avevo forti dolori all’addome e alle gambe. Era un’alternanza di fitte e dolore intenso pulsante come dopo un forte trauma, un colpo o una caduta. Quando i dolori sono cambiati, è tutto peggiorato, i dolori precedevano le mestruazioni, che già duravano almeno 6 giorni, e continuavano dopo la fine del flusso. Quindi in 28 giorni in cui si completa il ciclo della donna io soffrivo come minimo 10 giorni. Più in là ho iniziato a soffrire anche durante il periodo dell’ovulazione. Fino a che erano più i giorni in cui stavo male che i giorni di “normalità”.

Negli anni ti sono state fatte diagnosi errate?

Precedentemente alla diagnosi, negli anni dell’università a Roma ( Sara studiava architettura, ndr) ero seguita da una dottoressa molto scrupolosa. Spesso non stavo bene e lei intuiva che si potesse trattare di cisti ma dalle ecografie non risultava niente. Poi quando i sintomi sono peggiorati il medico di famiglia sospettava si trattasse di Calcoli Renali.

Prima di soffrirne, eri a conoscenza di questa patologia?

No, nel 1999 non se ne parlava tanto. E la stessa dottoressa che mi seguiva a Roma non l’aveva mai nominata.

Nella tua famiglia ci sono altri casi? Esiste una predisposizione genetica?

Io sono stato il primo caso di diagnosi di endometriosi e con il senno di poi penso che prima di me altre abbiano sofferto di questa patologia senza che sia stata mai diagnosticata.

Hai subito interventi chirurgici? Se sì, quali? Ne hai tratto giovamento?

Ho subito due laparotomie, due inseminazioni di cui una in laparoscopia e la seconda con conseguente setticemia per complicanze. In seguito ho dovuto procedere con l’intervento demolitivo, isterectomia totale con coinvolgimento degli ureteri e conseguente resezione intestinale. Non ho mai avuto giovamento dagli interventi, i sintomi sono ricomparsi subito. La mia Endometriosi è stata diagnosticata immediatamente al 4° grado, il più grave.

In che modo la malattia ha inciso sulla tua vita?

Non è facile rispondere. Credo che abbia coinvolto e cambiato tutto, soprattutto i miei rapporti con il prossimo. All’inizio facevo visite ginecologiche e ecografie circa una volta la mese. Ho tenuto un file in Excel con il mio ciclo per anni, cercando di individuare (segnandoli) i giorni in cui il dolore era più forte. E’ una vita in cui cerchi di trovare un equilibrio a cui non ti puoi abituare perché tutto cambia di continuo, e quasi sempre in peggio. Mi sono ritrovata a rinunciare a pezzi di vita. La stanchezza cronica, i dolori fino alla disabilità. E così che si modifica nel tempo anche il modo di pensare. Prima se nella mia vita si proponevano delle opportunità ragionavo o d’istinto, se presa dall’entusiasmo in caso di cose piacevoli, o con più lungimiranza in caso si trattasse di situazioni da affrontare mio malgrado. Con il passare del tempo non ho più avuto scelta, se reagivo di istinto dovevo ritrattare e piano piano mi sono abituata a verificare sempre tempi e luoghi in cui mi chiedevano di andare. Sia che si trattasse di lavoro o di vita privata. La cosa più difficile e imbarazzante è stata cercare di spostarsi in posti dove potevo trovare bagni puliti e confortevoli, dare per anni spiegazioni sommarie a chi pretendeva di capire. Era faticoso anche solo pensarci. Ora parlo più chiaramente. Sono arrivata ad avere la necessità del bagno per 19 volte al giorno senza considerare le volte in cui mi devo alzare la notte. Una fatica fisica e psichica. E sono così precisa perché ho dovuto renderne conto ai medici quindi sono sicura di quel che dico. L’endometriosi mi ha tolto la libertà di movimento e di scelta. Non posso dimenticare che non ho potuto scegliere se diventare mamma. In quasi 20 anni ho avuto una piccola tregua tra il 2013 e 2014. Non mi sono fatta scappare la possibilità di realizzare un sogno.


Che terapie segui al momento? Quanto ti costano?

Al momento seguo una terapia per tenere sotto controllo il dolore. Faccio la fisioterapia al pavimento pelvico in privato. Alcune medicine sono passate dall’assistenza sanitaria altre no, direi che spendo circa 50€ al mese di medicine. Le visite le faccio quasi tutte a Negrar (VR) e sono a pagamento. Io ho l’esenzione ma riguarda poche visite e dovrebbero essere fatte con dottori differenti ogni volta e questa è una situazione che persone con la mia patologia non possono permettersi. Quindi, continuando così, con le visite di controllo, senza considerare il viaggio per arrivare a Negrar, spendo circa 250€ due volte all’anno. Per la fisioterapia spendo 50€ a seduta, inizialmente con frequenza settimanale poi mensile. 


L’endometriosi ha influito sulla tua vita personale e sociale? È stato difficile far capire la tua condizione a parenti, amici e colleghi?

Ho fatto i salti mortali per non offendere chi mi chiedeva partecipazione, chi mi coinvolgeva nella propria vita. Ho dato priorità al lavoro e alla famiglia stretta, per il resto facevo e faccio quello che posso. Credo sia difficile far capire quel che si vive in certe condizioni, credo che per quanto una persona ti voglia bene possa crederti, credere in quel che dici e avere comprensione per te ma capire è difficile. Trovo che le parole compassione ed empatia siano importantissime e bellissime. Molte volte ho sentito l’altro provare questo per me ma poi mi sono trovata a sentirmi fare le stesse domande più volte come se mai ne avessimo parlato. E così ho capito. Qualcuno può crederti e immaginare se in parte ha provato qualche cosa di simile. Capire è difficile! Certo è che ho potuto contare tanto su mia mamma e su una mia cugina per i ricoveri. Poi per l’ultimo intervento mio marito Luigi mi è stato di grande aiuto e conforto. Nell’ambiente di lavoro ho avuto diverse esperienze ma voglio ricordare la squadra di sostegno che ho avuto nel periodo in cui ho iniziato la terapia del dolore. Ho sentito tanto affetto intorno a me.

In Italia ci sono molte associazioni che si dedicano alle donne affette da questa patologia. Ti sei mai rivolta a loro? Come ti sei trovata? 

Mi sono rivolta a queste associazioni per avere informazioni quando ormai per era troppo tardi perché ormai avevo già avuto gravi danni. Ho avuto una brutta esperienza con un’associazione a livello regionale mentre ottime risposte dalle associazioni nazionali. A loro mi rivolgo per avere opuscoli da divulgare per far conoscere la malattia. Un gruppo su Facebook che mi ha particolarmente aiutata è questo: “Noi Endo Girl siamo forti”.

Descrivi l’endometriosi per te. 

E’ UN MOSTRO! E per mostro intendo qualcosa che mi fa paura, che mi fa male ma a cui non so dare forma. E’ una mia compagna perché, anche se ho eliminato quella parte di me che poteva far riformare la malattia, il mostro non mi ha lasciato e mi ha lasciato danni importantissimi.

Cosa vorresti dire/consigliare alle ragazze che si trovano a muovere oggi i primi passi in questa battaglia contro l’endometriosi? 

Mi piacerebbe parlare a tutti e non solo a chi soffre di Endometriosi. Vorrei parlare in maniera diversa a seconda delle età a cui mi rivolgo e vorrei dire che oggi abbiamo più possibilità di informazione e più capacità di movimento. Vorrei dire alle ragazze di non avere vergogna di parlare del loro dolore, ditelo ai genitori, al medico di base, ditelo alla prof. con cui vi sentite in confidenza. Parlate con le amiche e confrontatevi. Cercate sui social, ci sono dei gruppi chiusi in cui si trovano buone informazioni e tanto conforto. Vorrei che mi ascoltassero i genitori e che capiscano quanto è importante portare le figlie nei centri specializzati. Non sottovalutate il dolore, osservate lo sguardo: si riconosce.

Qualcosa che vorresti dire alle istituzioni? 

Parto con il grazie: a livello nazionale Grazie di aver riconosciuto la malattia invalidante; a livello locale Grazie di aver organizzato il reparto di terapia del dolore. Non è poco ma il più è da fare. Intanto bisogna informare e parlare dell’Endometriosi. Bisogna fare convegni e corsi, bisogna che le istituzioni costringano tutti i dottori al confronto. Non dimentichiamo che non esiste cura e non esiste protocollo. Quindi l’unica arma che abbiamo contro questa malattia è la parola: bisogna parlare e scrivere di Endometriosi. Speriamo nella ricerca. E allora GRAZIE anche a voi di Vistanet per questo importante spazio.

Hai partecipato di recente a Roma alla giornata mondiale dell’endometriosi. Perché? Quanto credi possano essere importanti queste manifestazioni? 

Da pochi anni in molte capitali si svolge la marcia delle donne affette di Endometriosi e credo che un desiderio comune sia quello di urlare. Urlare il dolore. Una caratteristica simile alle donne colpite di Endometriosi è che sorridono spesso. Sorridono perché cercano di non mostrare il dolore, e io non posso pensare che siano tutte persone sempre allegre.  Essendo una malattia che colpisce la parte più intima dell’essere umano, nel senso più interiore o ancestrale cioè la nostra capacità di proiettarci nel futuro, credo che soprattutto all’inizio non se ne voglia parlare per pudore, paura o vergogna, poi man mano che si prende consapevolezza si sente il diritto e la voglia di poter urlare. Quello che mi ha colpito durante la marcia è che tra le persone che fermavamo per dare informazioni gli uomini si attardassero con noi più delle donne. Credo che c’entrino ancora il pudore, la paura e la vergogna. Penso che le manifestazioni siano importantissime anche a livello sociale e che sia necessario che non venga frainteso il messaggio: la donna deve essere libera di poter essere mamma e per questo deve essere informata il prima possibile. Adesso abbiamo il mese e il giorno per sensibilizzare il mondo all’endometriosi: Marzo è il mese e 13 il giorno. E se qualcuno si domanda “Quale mondo?”,  la risposta è questa: il mondo delle donne pensanti, il mondo in cui alle donne dovrebbe essere dato modo di scegliere quando e come diventare mamme. Ecco perché: L’Endometriosi coinvolge l’intera società. Colpisce 1 donna su 10 e con lei le famiglie.

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