ogliastra.vistanet.it

Una storia di coraggio e speranza: Erica Rosa Soi Caredda ci racconta il suo percorso ad ostacoli verso la felicità

Quanto la vita sa essere bella, sa essere dura, e forse è proprio questo che la rende così speciale. Si dice che proprio nei momenti di estrema difficoltà, quelli dove gli ostacoli sembrano insormontabili, emerga il coraggio delle persone, la loro tenacia, la voglia di farcela. Di sorridere. Di essere libere da qualsiasi male. Questa è una storia intrisa di speranza e di forza, di desiderio di futuro e di ottimismo: la 37enne cagliaritana d’origine (ora residente a Legnago, in provincia di Verona) Erica Rosa Soi Caredda è una sopravvissuta che non ha mai perso il sorriso, la dolcezza e la caparbietà. È fatta per metà di granito, proprio come tutte le donne sarde, e proprio come sua madre, che l’ha cresciuta da sola.

Ma partiamo dall’inizio.

«Oggi mi rendo conto di quanto io, nonostante tutto, fossi una bambina serenamente felice.»

È un giorno caldo del giugno 1994 quando Erica inizia ad avere i primi sintomi di quella che poi di lì a poco viene diagnosticata come “Leucemia Linfoblastica acuta”.

«A 9 anni venni catapultata in una realtà totalmente diversa da quella che dovrebbe essere la vita di un bambino. Due anni di chemioterapia con cicli sperimentali. Quanto sia stato complesso vivere quegli anni e quante emozioni contrastanti abbia vissuto, lo comprendo decisamente meglio oggi. Nel reparto di Oncoematologia Pediatrica del Microcitemico di Cagliari si creava davvero una grande famiglia, questo senso di forza che tutti insieme portavamo avanti era una lotta comune; pazienti, famiglie, volontari, infermieri e medici.  Di quel periodo ho tanti, tantissimi ricordi, ma tutti vissuti con la serenità di essere nel “mio posto sicuro”. Sono consapevole che oggi anche da un punto di vista medico ci sono approcci alle cure nettamente diversi, come l’anestesia totale per degli aspirati midollari. Eh no, per noi ancora non si valutava.»

Tutto sembra andare per il meglio e, dopo cinque anni, Erica esce dalla prognosi riservata. È nel pieno dell’adolescenza, piena di vita e vorrebbe essere felice. Ma… ma. Un mondo intero di “ma” entra a far parte del suo percorso.

«Mi sono sentita libera e persa… assurdo eh? Perché tutto sommato quello era il mio “nuovo” mondo. All’età di 16 anni ho organizzato una festa per festeggiare questo traguardo. Ricordo però che l’ultima volta che presi l’ascensore dell’ospedale, mi accorsi di sentire degli odori, di vedere dei luoghi, delle persone che da quel momento non avrei più visto e sentito con la stessa frequenza. Era arrivato il momento della felicità, penserebbe chiunque, invece io piangevo.»

Quando riprende la vita di sempre, quella che ogni adolescente conosce come l’unica e la sola ma a cui lei si è dovuta – con fatica – abituare, tutto sembra procedere come avrebbe dovuto. Adolescente complicata, così si definisce, ma esiste forse un’adolescenza semplice? «La scuola, le amicizie, i primi amori e il reinserimento in una vita che non avevo proseguito in modo del tutto regolare… ma la mia mamma è stata davvero brava. In tutti quegli anni mi aveva insegnato ad essere forte, ma non aver timore di piangere e a gioire perché non c’è medicina migliore di un sorriso in fondo al cuore. Certo, per lei non deve essere stato semplice crescermi da sola e poi affrontare la mia malattia. Oggi che sono madre comprendo quegli anni anche da un punto di vista genitoriale.»

Nel 2007 Erica conosce il suo attuale marito e nel 2009 nella porta di casa viene appeso un fiocco rosa: Azzurra colora il mondo di mamma e papà in maniera completa, bellissima, come solo i bambini sanno fare. Erica è ancor più felice perché, con il suo percorso, riuscire a mettere al mondo una vita non è sempre scontato. «Diventare madre era il mio più grande desiderio, ma avevo un grande timore, non poterlo diventare per via delle cure fatte. È lei la gioia più bella della mia vita, sono una madre presente, ma non opprimente, mi piace insegnarle che ci sono situazioni nella vita di ognuno di noi che sono delicate e che è sempre bene avere un occhio di riguardo anche per chi in un certo momento non è sereno, per qualsiasi motivo.»

Ma non è finita. La tempra di ferro di Erica deve tornare alla riscossa. E lei non si tira indietro di fronte a una nuova, dolorosa sfida.

«Purtroppo nel 2018 mi hanno diagnosticato un carcinoma e, vivendo anche questa avventura insieme ad Azzurra, ho capito quanto anche per un figlio possa essere destabilizzante. Il medico al controllo post esami mi disse: “Signora, lei è soggetta ai tumori, preferiamo operare.” La dottoressa continuava a parlare e io… non sentivo più niente… avevo timore che la vita… dopo la mia stabilità emotiva e di salute, venisse ancora una volta compromessa.»

Erica subisce un piccolo intervento e una cura radioattiva, isolata in ospedale e poi a casa. «Durante il ricovero ho portato con me poche cose, tra le quali, all’età di 32 anni, penne colorate e mandala. Sin da piccola imparai a rilassarmi con la creatività, anche grazie ai volontari dell’A.B.O.S., sempre presenti durante i miei ricoveri da bambina. Non avevo il tempo e la voglia di buttarmi giù, volevo solo essere forte, così poi tutto sarebbe finito presto.»

Il calvario finisce, ma la cagliaritana deve affrontare per qualche tempo le conseguenze di tutto quello che ha vissuto: «Ero destabilizzata: perché la vita mi faceva questo?! Allora ho ripreso tutto in mano e ho pensato a cosa mi rendesse felice, felice veramente. Non rinunciare alle piccole cose, stare con la mia famiglia, con gli amici, non accettare tutto e tutti dalla vita, accettare compromessi solo se ne vale la pena e sorridere, sorridere sempre, perché ho capito che il mio sorriso prima di tutto è una cura per la mia anima.»

È allora che, sempre presente, si fa però sempre più forte in lei il bisogno di fare qualcosa per gli altri.

«Chi ha vissuto un percorso come il mio o simile, ha una certa sensibilità nel capire quante persone avrebbero bisogno… dalle trasfusioni ai trapianti, alla donazione di capelli, della semplice compagnia e un pochino di gioia (senza grandi pretese). Io purtroppo, per via della mia situazione, mi definisco “difettata”, simpaticamente si intende. Purtroppo non posso donare nulla, tutto ciò che generalmente può essere donato nel mio caso non è “del tutto sano”. Iniziai quindi a valutare la donazione dei miei capelli per parrucche per pazienti oncologici e iniziare a fare la volontaria con un’associazione che mi avrebbe portata a svolgere servizio in ambienti delicati come RSA, ospedali e ovunque vi sia bisogno di un po’ di sorrisi.»

Ma non si ferma qui.

«Nel 2021 sono entrata a far parte di una meravigliosa famiglia, l’associazione “Viviamo in positivo – Vip Legnago Odv”, associazione di CLOWN DI CORSIA presente sull’intero territorio nazionale, “Viviamo in Positivo – Vip Italia Odv”. Farne parte è un’ulteriore rinascita per me, essere in perfetta coesione con gli altri volontari, creare una grande famiglia nella quale non importa il tuo vissuto: abbiamo tutti un obiettivo comune, la serenità per noi e da trasmettere durante i servizi. Questo non vuol dire affatto che ogni situazione sia idonea per il nostro fare, ma dove è possibile ed il paziente lo desidera… noi siamo lì per dire “ci siamo”. Senza alcuna pretesa solo con un sorriso, il cuore in mano e una ventata di colori…»

E per il bilancio odierno, Erica è ben consapevole di ciò che ha creato.

«Forse, ora che ci rifletto, sono tornata al mio punto di partenza, ma in un altro ruolo. Sono oggi il risultato del mio vissuto, forte ed emotiva allo stesso tempo. Non ricordo di aver affrontato un periodo nel quale ho rifiutato la mia malattia, sono consapevole che nel dolore ho imparato tanto e non vorrei, oggi, essere diversa.»

Partecipa anche a un progetto importante.

«Qualche mese fa Laura Matta, una mia cara amica di sventura (così ci si definisce tra ex pazienti), mi ha intervistato per la sua tesi, è stata decisamente un’esperienza particolare. Sono stata estremamente contenta del suo aver pensato a me. Ho accettato subito. È sempre un nodo allo stomaco, ma oltre a essere un modo per analizzare la mia stessa vita, spero possa magari essere di aiuto per qualcuno.

E riguardo la sua città natale, Cagliari, be’, Erica ci ha lasciato il cuore. Donna di granito, abbiamo detto, proprio come si è nell’Isola… e lei si sente figlia di questa terra.

«Mi dispiace molto non riuscire a vivere regolarmente la mia città e tutte le amicizie lasciate lì, riesco però ad andare circa due volte all’anno a Cagliari. Casa è casa, luoghi, profumi ed emozioni che solo lì riesco a vivere. Adoro la Sardegna, il mio essere sarda» conclude poi il suo racconto. «Sono cresciuta con la consapevolezza che la vita cambia in un soffio di vento, e io non ho voglia di perdere i miei momenti di felicità.»

Exit mobile version