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Antiche tradizioni. Tutto quel che c’è da sapere su “Sa tràmuda” (la transumanza)

Transumanza gairo

Transumanza a Gairo - Foto Cristian Mascia

Sa tràmuda” (la transumanza) è un “filo” della memoria che ci lega alla nostra storia più antica, la sua origine arcaica si perde nella notte dei tempi.

I pastori dei centri montani della Sardegna erano costretti ad affrontare questa migrazione stagionale con il bestiame, per superare le avversità climatiche del rigido inverno.

La precarietà delle strutture per il ricovero degli animali e la scarsità dei pascoli producevano un “esodo vitale” dalle montagne attorno al Gennargentu, verso le pianure o valli più fertili dalle temperature più miti.

In autunno, nelle prime settimane di novembre, iniziava la “calata” delle greggi verso le pianure (definita demonticazione), per poi fare il viaggio inverso in montagna nel mese di Maggio (definita monticazione).

Tramudai” (o “Ierrai”), oramai, è una parola raramente pronunciata, a tanti sconosciuto il significato.

Definiva la prima fase di questo fenomeno consuetudinario, con la partenza dai paesi montani, e lo svernamento degli animali nei luoghi prestabiliti.

Occorre fare una distinzione di due tipi di transumanza: una definita breve e un’altra lunga.

La prima consiste nello spostamento degli animali all’interno dell’agro del Comune stesso o in paesi a poca distanza.

Mentre la seconda è un lungo viaggio, anche di centinaia di chilometri, dove vengono attraversate “is làcanas” (confini) di diversi paesi, su “àndalas” o “caminus” (sentieri o strade antiche), solcati da tempi immemori e tramandatei da padre in figlio.

Queste vie della transumanza – “testimoni” di epoche misteriose e genti millenarie, di duri sacrifici, aspre lotte, aneddoti, amicizie e rapporti culturali tra diverse zone – rappresentano degli scrigni nei quali sono conservate notizie sulle nostre origini, e forse, un’occasione per il futuro.

Per lungo tempo in Sardegna, oltre al possesso individuale della terra, era presente l’uso collettivo.

Mentre i terreni circostanti ai villaggi, appartenenti alla comunità, venivano frazionati e assegnati ai singoli contadini, perché potessero usufruirne, il suolo agricolo ad uso comunitario era solitamente diviso in due parti: viddazzone/biddazzone e paberile.

Questo al fine di evitare un eccessivo sfruttamento della superfice coltivabile, in quanto mentre il viddazzone consisteva nel coltivare la terra a grano, il paberile era la parte lasciata a pascolo per il bestiame mansueto e annualmente fra le due veniva praticata la rotazione.

Appena conclusa la raccolta del grano, si permetteva alle greggi e mandrie di bestiame rude l’ingresso nelle aree utilizzate a viddazzone, nel periodo che andava da luglio a fine settembre.

Visto questo sistema agricolo di rotazione, le vie di transumanza dovevano essere ben definite, superare su “trèmini” (confine) del terreno coltivato portava ad aspri scontri tra pastori e contadini.

Nella transumanza lunga, il tipo di bestiame rude trasferito era costituito da greggi ovino-caprine, ma anche mandrie di bovini. Per quanto riguarda i suini – considerata la resistenza alle intemperie e vista l’abbondanza di ghiandatico di leccio –, questi venivano allevati in loco o nei paesi montani vicini.

Nella stagione estiva venivano spostati in pianura per poter pascolare nelle stoppie del grano.

Le vie della transumanza che utilizzavano i pastori erano diverse, certamente i vari eventi storici susseguitisi nei secoli hanno influenzato l’utilizzo di queste. Così come la scelta delle zone d’arrivo di questa migrazione stagionale.

Sicuramente tra le più antiche, quelle che portano al Sarrabus, al Gerrei e nel Campidano.

Tra queste, con varie biforcazioni, una fondamentale che portava verso la foce del Flumendosa, l’altra fino alle porte di Cagliari.

Una di queste “piste” dei pastori passava nelle vicinanze dell’antichissimo tempio nuragico “sa Domu de Orgia”, e nella zona de “Corti de Lucetta” nell’agro di Esterzili.

In questa fu rinvenuta la famosa lastra bronzea – “Tavola di Esterzili” -, documento epigrafico di straordinaria importanza.

Riporta la trascrizione di una sentenza con la quale il proconsole Lucio Elvio Agrippa condannava, durante l’età di Otone, i pastori sardi della tribù dei Galillenses accusati di sconfinamento e razzie ai danni dei Patulcenses. La lastra bronzea sarebbe stata incisa il 18 marzo 69 d.C. .

Ancora gli studiosi non sono concordi nel collocare geograficamente queste due popolazioni. Per il nostro discorso, è importante la prova in epoca romana degli scontri che avvenivano fra pastori e contadini.

I primi alla ricerca di pascoli, i secondi a difesa dello sconfinamento, in continua lotta per la sopravvivenza. Tralasciamo in questa sede il discorso dello scontro tra due Civiltà…

Queste “arterie” senza tempo seguono i naturali passaggi che tra le montagne portano alla pianura, scavate dal Rio Frumineddu.

Molti pastori nel corso dei decenni, con l’acquisto delle terre dove praticavano queste migrazioni, si sono trasferiti con le famiglie.

La fine dell’antica transumanza lunga e l’abbandono di questi antichi tragitti, è coinciso con il miglioramento delle strutture adibite al bestiame in montagna, lo stanziamento annuale definitivo degli allevatori e le modifiche nel comparto lattiero-caseario.

Proprio in queste settimane nel 2019 – ironia della sorte quando iniziava la migrazione dei pastori di montagna – il Comitato dell’Unesco, ha dichiarato la transumanza patrimonio culturale immateriale dell’umanità.

La proposta, presentata ufficialmente a Parigi dall’Italia (paese capofila) insieme a Grecia e Austria, nel Marzo 2018, è partita dal ministero delle politiche agricole e Regione Molise.

Quest’ultima, insieme alle altre Regioni del sud Italia attraversati dai tratturi, così denominati i sentieri utilizzati anticamente per la transumanza in quelle zone, da decenni tutelano e valorizzano queste vie coadiuvati da incentivi e finanziamenti dell’Unione Europea.

“Sa tràmuda” è praticata ancora da qualche pastore nel Nuorese e in Ogliastra, ma il fenomeno è sempre più raro. Anche se c’è da sottolineare da parte dei Comuni, storicamente interessati a questa antica migrazione stagionale, una riscoperta e valorizzazione di questo importante patrimonio culturale.

Un dovere verso chi ha vissuto la transumanza e le generazioni future, di evitare che venga reciso dall’oblio del tempo e il mutare dei costumi, questo “filo” esile che ci lega “a su Connottu”.

Roberto Anedda

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