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Ansia, negatività e angoscia da pandemia: come combatterle? Ce lo spiega la psicologa Paola Ferreli

Ansia, disagio, angoscia, mancanza di stimoli, negatività: ovunque ci si giri o con chiunque si parli, questo sembra essere il bagaglio gentilmente offerto dal Covid-19, un po’ come se l’infausto e lunghissimo periodo che abbiamo dovuto, nostro malgrado, affrontare – e che comunque persiste, sebbene in maniera meno incisiva – abbia lasciato strascichi psicologici notevoli su una grande fetta di popolazione.

«L’evento della pandemia ha colto di sorpresa tutto il mondo» spiega la psicologa e psicoterapeuta lanuseina Paola Ferreli, sottolineando la difficoltà delle persone a metabolizzare quanto stava accadendo. «Isolamento sociale, nessun contatto fisico, perdite di tantissime vite, assenza delle esequie con conseguenti lutti irrisolti, allarmismo mediatico, informazioni inesatte, coprifuoco, mascherine… Insomma, abbiamo dovuto affrontare tanti ostacoli, imprevisti, incertezze. Per molte persone non è stato facile.»

Insomma, solo chi soffriva di ansia sociale ha (quasi) accolto con filosofia l’isolamento, ma per quanto riguarda tutti gli altri, Ferreli è chiara: «Ce la siamo cavata, ma non senza conseguenze.»

Quale sarebbe stata la portata degli effetti della pandemia sulla psiche umana? Questa era la domanda ricorrente allo scoppio della pandemia.

«L’Ordine Degli Psicologi, a livello nazionale, lanciò immediatamente l’allarme, purtroppo non immediatamente colto, per prevenire quelle che sarebbero state le conseguenze a livello psicologico e che dopo qualche mese abbiamo visto verificarsi… le condizioni in cui abbiamo dovuto vivere durante la pandemia hanno, senza ombra di dubbio, influito sulla salute mentale e sul benessere di molti di noi.»

A peggiorare a causa del Covid-19 tra restrizioni e timori, come elenca Ferreli, i rapporti fra partner e anche quelli fra genitori e figli, ma si sente di più anche la fatica percepita durante il lavoro ed è calata a picco la concentrazione degli studenti. Aumentate le manifestazioni di ansia generalizzata, di depressione, di anedonia, i disturbi ossessivo-compulsivi, le sensazioni di noia e frustrazione, di rassegnazione, di amarezza, di sfiducia verso il futuro, di scoraggiamento. Tante le cicatrici che ci si porta dietro. Da sottolineare come trauma legato a questo periodo, continua la psicologa e psicoterapeuta ogliastrina, il fatto di non aver potuto salutare i propri cari in ospedale prima che morissero, o il non aver potuto partecipare al funerale, momento di addio importantissimo nel processo di elaborazione del lutto.

«Non meno importanti le tragedie che si sono consumate nelle abitazioni a causa delle difficoltà economiche, dei conflitti familiari già esistenti che la reclusione in casa ha portato a livelli insostenibili.»

E non solo: conseguenze non trascurabili – come paura e senso di abbandono – persistono in chi ha subito un ricovero in ospedale o magari era da solo durante l’isolamento. «È stata inoltre identificata una vera e propria sindrome “Post-covid” o “Long-Covid” che colpisce molte delle persone risultate positive al virus. Questi sintomi infatti non svaniscono immediatamente ma si trascinano nei mesi successivi, o addirittura si presentano solo una volta che la persona si è “negativizzata”: stanchezza, debolezza, affanno, ansia, depressione, cefalea, insonnia…»

Alcuni, aggiunge, hanno tirato fuori risorse che non credevano di avere, altri, be’, hanno avuto da lavorare – e ancora, in alcuni casi, si combatte – con l’aiuto di specialisti. Insomma, un bel bagaglio di conseguenze: «L’esperienza che abbiamo vissuto tutti noi in questi due anni è stata traumatica.»

“Trauma”, dal greco “rottura”, “ferita”: «Dalle nostre ferite» continua Ferreli «possiamo imparare tanto su noi stessi. Frank Ostaseski, un insegnante buddista, sostiene che non dobbiamo avere paura delle nostre ferite, dei nostri limiti, della nostra impotenza. Perché è con questo bagaglio che possiamo avviarci alla guarigione.»

Partire quindi dalla nostra sofferenza per guarire, proprio come fa Chirone, il personaggio della mitologia greca in grado di curarsi dalle sue ferite: «Avere il coraggio della propria vulnerabilità, riconoscendola e integrandola non come debolezza o fragilità ma come forza e strumento per poter sviluppare e accrescere il nostro benessere psicologico.»

Ma come rispondere alle crisi dell’animo?

Se parliamo di pensiero catastrofico, ossia la supposizione che si verifichi un disastro e lo scenario possibile immaginabile, a prescindere dagli indizi che abbiamo a disposizione, Ferreli consiglia tre passi.

«Uno: attingiamo a dati certi e informazioni affidabili da fonti attendibili. Usando la mente razionale possiamo concludere che, sebbene l’ipotesi catastrofica formulata sia verosimile, non è l’unica e non è la più probabile statisticamente. Questo mi può permettere di accogliere altre ipotesi meno estreme. Se, per esempio, dovessi partire in aereo, il pensiero catastrofico mi porterebbe a pensare che potrei avere un incidente o che sicuramente subirà un ritardo. Attingendo a dati e informazioni certe, mi tranquillizzerei scoprendo che statisticamente il numero di incidenti aerei è davvero molto basso e potrei verificare sul sito della compagnia se il mio volo è in orario oppure no. Due: pensiamo alle conseguenze usando le parole giuste. Poniamo il caso che il volo sia davvero in ritardo… questo ritardo è davvero una catastrofe? O, usando altre parole, è soltanto una seccatura? Qual è la cosa peggiore che ne può derivare, da questo ritardo? Certo che in alcuni casi le conseguenze possono essere davvero serie, ma di solito si tratta solo di un fastidioso contrattempo. Tre: usiamo il pensiero laterale. Cioè si trasforma l’idea catastrofica in qualcosa di più realistico e quindi accettabile. Ok, il volo ha un ritardo di 6 ore… cosa faccio? Mi ascolto dentro, identifico le mie emozioni e solo dopo agisco. Se mi sento davvero molto delusa, o arrabbiata o addirittura addolorata è bene che me lo dica… non servirebbe a nulla fare finta che va tutto bene, perché non sarebbe vero. Ma è altrettanto inutile essere catastrofici, se non è vero. È bene essere realisti e anziché dire “il ritardo del volo mi ha rovinato la vacanza” potrei ammettere che “il ritardo del volo non mi permetterà di svolgere il programma della giornata, ma potrò tranquillamente proseguire per il resto della vacanza”.»

Se invece si parla di trauma, la domanda che viene spontanea è: come si fa a superare il malessere derivante da un trauma come quello di una pandemia?

«Costruendo la speranza, che è, insieme, una virtù, un sentimento, un atteggiamento. Qualcosa che si può cercare, coltivare, costruire, diffondere» chiarisce Ferreli. E nella pratica, si può fare seguendo dei consigli specifici: «Uno. Partendo da una buona educazione emotiva, che sta alla base dell’equilibrio psicofisico di ogni persona. Due. Riprendendo i rapporti sociali, ciascuno con i propri tempi. Abbiamo necessità di contatti umani! Cuciniamo insieme agli amici, usciamo insieme ai parenti, chiacchieriamo anche con gli sconosciuti… è arricchente! Tre. Avendo cura di sé… con una buona lettura (per esempio sul mito di Chirone, da cui Jung ha sviluppato proprio l’archetipo del guaritore ferito), un momento di relax ammirando un panorama o ascoltando della buona musica, volgendo l’attenzione dentro di noi, verso le mutazioni emotive che caratterizzano il nostro essere… osserviamo noi stessi e le nostre reazioni con curiosità, senza giudizio! Quattro. Curando la nostra spiritualità… in qualunque modo la concepiamo! Cinque. Chiedendo aiuto ad uno specialista qualificato, qualora ci si rendesse conto che da soli diventa ostico ottenere risultati apprezzabili. Ci meritiamo di stare bene ed è dovere di ciascuno attivarsi per riuscirci.»

«Immaginiamo che la serenità desiderata si trovi in cima ad una montagna: aria pulita, una brezza piacevole e tanta calma… immaginiamo che il modo più efficace per arrivare in cima sia costruire una scala di 100 gradini, possiamo costruirla pian piano, un gradino per volta, e questa scala si chiama speranza… costruiamo la scala e saremo in cima alla montagna: costruiamo la speranza e saremo sereni» conclude la dottoressa Ferreli. «Come diceva il grande Seneca: “Anche se il timore avrà sempre più argomenti, tu scegli sempre la speranza”.»

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