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L’8 marzo di Loredana Rosa Brau: “Oggi più che mai è necessario parlare di femminismo”

L’ 8 marzo, ricorre la Giornata internazionale dei diritti della donna e in questa occasione abbiamo raccolto le parole dell’insegnante e attivista ogliastrina, Loredana Rosa Brau, che ci ha regalato una profonda riflessione.

Ringraziandola, pubblichiamo il suo pensiero integralmente:

«Nei giorni scorsi, in una delle tante trasmissioni televisive che ci raccontano la guerra in Ucraina, un esperto di geopolitica ha usato il termine “stupro” per definire l’invasione russa.

Un termine scelto con cura, per rappresentare – volutamente, crediamo – la matrice maschile di questa guerra che, forse più di altre, mostra plasticamente la dicotomia tra uomini soldati (invasori e difensori) e donne vittime: nelle immagini che scorrono senza soluzione di continuità, vediamo uomini che combattono, lanciano proclami, siedono a tavoli di trattative impossibili; e donne che scappano per salvarsi e salvare figlie e figli, madri e padri anziani.

A eccezione di Ursula von der Leyen, tutti gli attori di questo momento storico, da una parte e dall’altra, sono uomini. La guerra la “fanno” gli uomini, ai tavoli di mediazione siedono solo gli uomini. Tantissime invece le donne che vediamo impegnate nell’accoglienza, in Ucraina, Polonia e nel resto d’Europa, e quelle che in Russia, a rischio di arresi e persecuzioni, manifestano contro l’invasione.

Nella Giornata internazionale della Donna odierna (la 111sima dall’anno della sua istituzione), segnata dall’esplodere di un anacronistico conflitto nel cuore d’Europa, questo deve essere un serio motivo di riflessione. Oggi più che mai dobbiamo interrogarci su quanto una vera parità di genere a tutti i livelli sia necessaria per tendere verso società realmente pacifiche, egualitarie, giuste.

Basta limitare lo sguardo agli ultimi mesi per renderci conto di quanto la mortificazione delle donne vada di pari passo con la mortificazione della dignità umana: nei tanti scenari di conflitti sanguinari nel mondo, ce lo possono raccontare le donne curde che hanno combattuto contro l’Isis per difendere la loro terra e la propria libertà, abbandonate dall’Occidente quando non erano più utili alla causa; ce lo urlano le donne afghane, lasciate al loro destino dopo vent’anni di guerra inutile; e oggi ce lo mostrano con le loro parole e i loro volti straziati le donne ucraine.

Lea Melandri, giornalista e attivista femminista, ha scritto a questo proposito: «Noto con rammarico che tra le ragioni strutturali della violenza si continui a rimuovere quella “patriarcale”, cioè la prima e la più duratura delle ingiustizie: l’esclusione delle donne dal governo del mondo, la loro sottomissione e colonizzazione. Tutte le altre forme di violenza della storia ne portano il segno. Possibile che anche i migliori pensatori impegnati nei movimenti ambientalisti e antirazzisti non riescano a tenere conto della cultura e delle pratiche del femminismo? Stiamo parlando dell’idea di virilità che ha deciso dei destini di un sesso e dell’altro, della cultura e della storia che vi è andata sopra, nel privato come nel pubblico. Imperituro, al di là dei mutevoli contesti storici e politici, sembra essere l’ideale di “virilità guerriera” sulla cui costruzione mancano ancora consapevolezze e conoscenze adeguate, nonostante un secolo e oltre di femminismo.»

Per questo motivo, ma non solo, oggi più che mai è necessario che la Giornata internazionale della Donna sia vissuta come momento di lotta, riflessione e proposta: tutto fuorché di festa. Oggi più che mai è necessario parlare di femminismo nella sua più giusta e ampia accezione: quello di un movimento globale che, partendo dal rifiuto totale del maschilismo e di una “virilità” tossica, ponga le basi per un mondo realmente rinnovato, in cui la parità sia davvero possibile, non solo tra i generi ma anche tra i popoli, le classi sociali, le religioni, nel solco di un nuovo, vero umanesimo.

C’è un’immagine di un bozzetto del 1948 del nostro immenso Costantino Nivola, che quest’anno ho ripensato come particolarmente significativa per marcare l’urgenza e la speranza in questo 8 marzo, in cui sentiamo più vicina a noi la minaccia della guerra. Risale al 1948 e rappresenta su un soffitto un uomo e una donna che, a seconda della posizione di chi guarda, possono mostrare un uomo che porta una donna o viceversa. Il punto di vista che trovo più appropriato per la sua valenza simbolica è oggi quello che vede la figura femminile (bianca) che tiene letteralmente sotto braccio la figura maschile (rossa come il colore del sangue versato nelle guerre), e avanza sostenendosi sulle sue solide gambe con l’indice alzato in segno di vittoria, o forse di riscatto e presa di coscienza (l’indice verso il cielo ricorda, guarda caso, il gesto finale della danza di One Billion Rising).

L’auspicio che leggo in questa immagine è, fuori da ogni retorica, la vittoria della pace, che è bianca come tutti i colori messi insieme, e donna, come la guerra non è.»

 

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