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La curiosità. A Ulassai, davanti alla bara del morto, le cognate cantavano una canzone specifica

A Ulassai, quando nella casa c’era un defunto, si riunivano tutti i parenti intorno e poi, prima di portarlo in chiesa, arrivava il falegname con al bara, dopo aver preso di mattina le misure. Invece in seguito le bare vennero fatte in serie. Per la morte si trovavano intorno al defunto: la moglie vestita di nero con in testa un fazzoletto nero, le sorelle, le cognate e i fratelli. A turno si cantava, ma tutte parlavano della propria famiglia. Allora la cognata si alzava e cantava:

Deu fetti cittia chi

ci parti non sia

iscura connada mia

de nieddu esti bestia

bestia e da nieddu

pesa e pigasinteddu

esti a sindedu pigai

poitta mariu tenidi e sposai

e deppeusu festai

ae festai deppeusu

e s’arcu riuneusu

a riuneusu s’arcu

tottu eita pensu eu

su chi deppeu pensai

ca meda sunfriu asi

in sa malatia

e pena di tenia

e n di tengiu pena

ca asi sunfriu medache

tui chi podisi prega

la ca de coru ti d’avvertia

po sa familia

po sa tua e po sa mia.

Questo canto è stato pronunciato per un uomo che per molti anni era stato gravemente infermo. In questi canti si esaltavano soprattutto i pregi, spesso maggiorati. Per i figli quais in ogni strofa si diceva “figliu miu”, per il marito “coro meu”. Chi non aveva nessuno in casa che sapesse cantare, chiamava delle donne conosciute come attittadoras, anche se qualcuno era contrario perchè pensava che queste cose si dovessero sentire dentro, in quanto sentimenti talmente grandi che escono spontanei perchè si voleva bene al morto.

 

Testo tratto da “Stregoneria in Sardegna. Processione dei morti e riti funebri” di Simonetta Delussu, Parallelo 54 Edizioni. 

 

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