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Archeologia e preistoria su Instagram: le lezioni in sardo della jerzese Sara Corona

In questo periodo contraddistinto dalla didattica a distanza, in cui le lezioni delle materie scolastiche hanno dovuto adattarsi, per bisogno, a forme di comunicazione nuove, c’è chi utilizza linguaggi contemporanei per spiegare tematiche di grande interesse. È il caso di Sara Corona, giovane studentessa jerzese di archeologia, che sta proponendo una interessantissima serie di lezioni online, attraverso le stories di Instagram, su preistoria e archeologia.

Oltre a sapere il fatto suo rispetto a materie che la appassionano, Sara ha avuto la geniale idea di proporre alcune di queste lezioni in sardo, lingua troppo spesso relegata erroneamente a un utilizzo lontano dallo studio di materie scientifiche ed è stata capace di sottolineare aspetti meno noti dell’archeologia e della preistoria, come la narrazione stereotipata di quest’ultima in merito al ruolo delle donne nelle società di cacciatori-raccoglitori.

 

Prima di capire cosa fai e perché, ci racconti del tuo percorso di studi?

Ho studiato Beni Culturali a indirizzo archeologico presso l’Università di Torino e dopo la laurea ho deciso di seguire un programma Erasmus che mi ha permesso di accedere a una borsa di studio e fare pratica di laboratorio in Spagna. Dopodiché ho iniziato un master di primo livello in archeologia preistorica.

Quando e da cosa nasce la tua passione per l’archeologia?

Onestamente anni fa non avrei mai creduto che l’archeologia potesse far parte della mia vita in questo modo, ma quando ho iniziato il corso di beni culturali all’università, dopo la prima lezione mi sono resa conto di quanto mi appassionasse questa scienza. Mi piace soprattutto il fatto che l’archeologia studi tutta la produzione umana.

Sei riuscita a portare l’archeologia e lo studio della preistoria sui social attraverso lezioni interessanti e coinvolgenti, probabilmente una novità in Sardegna e non solo, cosa ti ha spinto a creare questo format?

È stata una cosa non programmata. Per la tesi di triennale avevo iniziato a documentarmi su come gli studi di genere possono includere l’archeologia, cioè come si fa ricerca archeologica con una prospettiva femminista. In particolare mi interessava il modo in cui in archeologia si studiano e si raccontano gli uomini e le donne nel passato. Soprattutto in preistoria si tendono ad applicare modelli stereotipati sui ruoli di genere, ad esempio quello molto conosciuto “uomo cacciatore vs. donna raccoglitrice”. Ho pensato che portare questi temi, con le dovute spiegazioni, su una piattaforma social potesse incuriosire le persone e farle interessare a questi studi. Oggi in Italia è ancora difficile che il modello “uomo-cacciatore” – “donna-raccoglitrice” venga posto in dubbio, perlomeno fuori dall’accademia cioè nel discorso pubblico: la narrazione è sempre quella e tantissime persone ne sono convinte. Il fatto è che l’archeologia è una scienza sociale, non una scienza “pura” e quindi ha una grossa parte di interpretazione che dipende tanto dalla prospettiva del ricercatore o ricercatrice. Chi non la studia spesso non lo sa, credendo assolutamente certe e oggettive tutta una serie di narrazioni che invece non lo sono. Ho voluto parlare di questo e poi ho allargato il campo.

A diverse persone ha colpito il fatto di poter seguire un’intera lezione di archeologia in sardo, una piacevole novità per una lingua che per cause diverse ma soprattutto responsabilità precise ha faticato a ottenere uno status di “normalità” e quindi approdare, salvo alcune eccezioni, nel mondo delle scienze. Tu parli da sempre in sardo? Cosa ci vuoi dire in merito a questa tua scelta?

Non parlo il sardo da sempre, l’ho sempre capito. Nella mia famiglia come in tante altre non si è parlato tanto il sardo, pur essendo questo la prima lingua di mio padre per esempio. Sono cresciuta e l’ho sentito parlare tanto nella mia vita. Ai primi anni di liceo ho deciso di volerlo imparare bene e da allora lo studio con costanza. Purtroppo, quindi il sardo non è la mia prima lingua, anche se dovrebbe esserlo visto che sono sarda. Fosse per me, parlerei in sardo su tutto, su qualsiasi argomento. Mi sono imbattuta in difficoltà più serie proprio quando ho cercato di applicarlo alle mie materie di studio: questo non perché il sardo non sia all’altezza o non ci permetta di affrontare argomenti scientifici o in generale accademici, ma perché mancano i termini.

È normale che le parole per definire le cose manchino quando la lingua (qualsiasi lingua) non viene usata per parlare di un argomento: questo accadeva anche all’italiano o all’inglese prima che si iniziasse a fare ricerca archeologica nell’Ottocento e venissero a mano a mano coniati i termini per nominare i concetti e gli oggetti di riferimento. In sardo queste parole devono ancora essere coniate. Al momento manca quindi una piattaforma comune di riferimento per i termini archeologici e così ho dovuto complicare il lavoro per capire come nei miei video potevo sopperire a questa mancanza. Per i termini che utilizzo opero una scelta utilizzando diverse fonti e facendo riferimento alle parlate che mi circondano nella vita di ogni giorno. Così ho scelto di dire tretu per “sito archeologico” o forada per “scavo”, ma non senza che nascessero dibattiti tra le persone del mio contesto di riferimento riguardo quale termine risultasse il più giusto per ciò che volevo dire.

In sostanza credo che le mancanze che ho appena descritto, come quella di un riferimento comune, siano spesso utilizzate come “scuse”: un’assenza delle istituzioni in questo senso non dovrebbe essere permessa, ma non ci deve neanche paralizzare. Il sardo è una lingua bellissima e come tutte le altre si può utilizzare per qualsiasi argomento e discorso, si può fare archeologia in sardo e la mancanza di termini si copre facilmente.

In che condizioni versa l’archeologia in Sardegna?

È sotto gli occhi di tutti che ci sono problemi su vari fronti, dalla ricerca alla tutela e la valorizzazione. Generalmente c’è mancanza di fondi ma è anche vero che manca proprio la volontà di stanziarli. In Italia si tende a dare precedenza all’archeologia medievale e classica e la Sardegna diventa periferica in questo ragionamento, ottenendo poco interesse per la ricerca. Quando l’interesse c’è, a volte è troppo incentrato sull’età nuragica (come se il resto non fosse importante) che viene anche strumentalizzata a più riprese. Bisognerebbe chiedersi quanti siti in Sardegna siano messi in condizioni di sicurezza e conseguentemente resi veramente fruibili al pubblico. Sono considerazioni importanti da fare, anche alla luce di altri fenomeni che ostacolano lo studio serio come la cosiddetta criptoarcheologia che in tanti oggi chiamano “fantarcheologia”. Ovviamente la contrasto, ma purtroppo capisco il perché questa esista e si diffonda: se non vengono dati strumenti adatti per capire e studiare il passato e i siti archeologici, è impossibile creare legami fra una popolazione che abita un determinato territorio con le evidenze di una vita passata. Se queste cose non si insegnano nelle scuole è normale che un sardo del paese X non sappia cosa siano per esempio le strutture nuragiche che circondano il suo vissuto. Queste gravi mancanze ci impongono visioni altrui, ci allontanano dalla nostra storia di cui ci dovremo riappropriare.

Quali reazioni ricevi nei tuoi video? Ci sono altre tematiche che vorresti affrontare?

Ricevo molto interesse e commenti positivi e spero di poter creare tanti altri contenuti di interesse. Fra gli studi che più mi piacciono oltre l’archeologia preistorica ci sono anche l’archeologia post-coloniale e l’archeologia politica, magari farò qualcosa in merito nel prossimo futuro. Potete trovare i miei video nel mio canale Instagram che si chiama archeocosas e spero vi possiate appassionare anche voi all’archeologia!

 

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