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Il “ragno botola nuragico”: alla scoperta di una specie sarda con Antonio Maccioni

25 millimetri di corpo, è massiccio e peloso – la usa peluria è argentata e dai rifessi metallici – e ha sempre abitato l’Isola all’insaputa di tutti. Come riporta Antonio Maccioni nel suo “Alla scoperta dei segreti perduti della Sardegna”, fu Bruno Manunza, ricercatore presso il dipartimento di scienze zootecniche dell’Università di Sassari – anche grazie al contributo del fotografo Marco Colombo e in collaborazione con Arthur Decae (Museo di Storia Naturale di Rotterdam) – a presentarlo all’intera comunità scientifica descrivendolo sulla rivista “Arachnology”.

Passato oramai alla storia con il nome di “ragno botola nuragico”, si chiama Amblyocarenum nuragicus.

Venne individuato e immortalato per la prima volta nel 2007 da Colombo, dalle parti di Alghero (tra Capo Caccia e Punta Giglio). Sebbene si consideri attendibile l’osservazione in altri Paesi dell’area Mediterranea, l’attendibilità della scoperta è stata dimostrata mediante comparazione dei campioni.

Ragno sardo, caratteristiche: vive nel sottosuolo, scava buche nel terreno – buche che poi sigilla con vere e proprie botole di terra e tela, generalmente in zone ombrose e umide, spesso sotto cippi e pietre. Attende paziente la preda che poi trascina in un cunicolo profondo anche 15 centimetri.

Per gli uomini nessuna paura: morso doloroso ma veleno poco potente. Non è assolutamente da confrontare con la temutissima “argia” (malmignatta).

Curiosità: la seta prodotta da questi aracnidi è di grande interesse per la bioingegneria e il veleno è alla base di molte ricerche in campo farmaceutico e medico.

La peculiarità, che colpì Colombo quando individuò la specie, fu la composizione delle tane e la fenologia dei maschi: la specie era non importata e mai osservata nel mondo.

(Antonio Maccioni, “Alla scoperta dei segreti perduti della Sardegna”, Newton Compton editori)

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