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Alex Schwazer, 5 anni di sport e onore rubati: e ora chi gli restituirà tutto questo?

Nella vita di ogni essere umano l’errore è una variabile che prima o poi interviene. Nel caso di Alex Schwazer, questa variabile non si è verificata due volte come avevano stabilito i giudici a Rio de Janeiro nel 2016, ma solo una, in quel lontano 2012 quando lo sbaglio del marciatore azzurro fu quello di immettere nel proprio corpo l’eritropoietina, l’Epo, sostanza proibita e dopante.

Nel 2016, quando il TAS gli ha precluso le porte dello sport mondiale fino al 2024, no, questo non avvenne: le sue provette furono manipolate e questo da ieri è un fatto, stabilito non da larga parte del sentire comune, ma da un altro giudice, che ha concesso giustizia a uno straordinario quanto sfortunato atleta. Il Gip di Bolzano ha archiviato l’accusa. Alex Schwazer «non ha commesso il fatto», parole di un Tribunale che non lasciano spazio a dubbie interpretazioni.

«E adesso, Alex? Adesso che si fa?», gli ha chiesto il giornalista della Gazzetta dello Sport Francesco Ceniti in un’intervista pubblicata oggi sulla Rosa. «Non lo so – ha risposto il marciatore altoatesino -. D’istinto mi piacerebbe staccare il telefono, godermi questa vittoria in famiglia. Mangiare la torta preparata da mia moglie, scherzare con i figli…Cose semplici, le più belle. Rese ancora più belle da quello che è accaduto».

Eppure è difficile non trovare l’amarezza in questa storia di clamorosa ingiustizia. Perché se già è immediato provare umana compassione e solidarietà verso le vittime delle ingiustizie, è forse ancora più immediato provare questi sentimenti verso chi subisce l’iniquità perché su di lui insiste il pregiudizio del “precedente”. Alex Schwazer non ha mai negato i suoi errori, li ha ammessi, ha chiesto scusa e ha pagato una pena adeguata. Poi è tornato a praticare il suo sport con lealtà, onestà e tanta voglia di rivincita.

Quella riscossa che il marciatore italiano aveva iniziato a riprendersi con l’oro nei campionati del mondo di marcia a squadre ottenuto a Roma nel maggio 2016 con un tempo straordinario, 3 ore e 39 minuti, ottenuto anche grazie agli allenamenti di Sandro Donati, che non ha mai smesso di credere nell’uomo, prima che nell’atleta. Quella rivalsa mondiale che – non lo sapremo mai – Alex avrebbe potuto ottenere definitivamente trionfando a Rio, dove avrebbe voluto ardentemente bissare i fasti di Pechino 2008 e cancellare definitivamente il dolore di quello sbaglio che lo aveva fatto quasi crollare, quando in lacrime si presentò davanti alla stampa nel 2012.

Nessuno potrà restituire all’uomo e all’atleta gli ultimi cinque anni e mezzo della sua vita, ma forse il giusto omaggio a questo grande campione, tanto umano quanto sfortunato, sarebbe quello di dargli un biglietto per Tokio. L’Italia, il mondo, lo sport potrebbero far pace con la storia personale e sportiva di Alex, anche senza medaglie sul petto. Basterebbe vederlo al traguardo, con il sorriso e la fatica stampati sul volto dopo 3 o 4 ore di marcia. Siamo sicuri che questo gli interessi molto di più dei milioni che con ogni probabilità otterrà -giustamente – a risarcimento di quanto gli è stato sottratto.

 

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