ogliastra.vistanet.it

Triei, la battaglia di Valentina Sistu e della sua intera famiglia per sconfiggere il Covid-19

Valentina Sistu, 23 anni, di Triei, ha contratto il Covid-19 insieme a tutta la sua famiglia. Dall’ottobre scorso, quando è stata confermata la loro positività, fino alla diagnosi di negatività (arrivata solamente a dicembre) hanno passato dei momenti difficili tra l’isolamento, la distanza dagli affetti e la paura di eventuali conseguenze del virus. 

La loro storia. 

 

 

 

Quando ti sei accorta di aver contratto il virus?

A metà ottobre ho iniziato a sentirmi poco bene, ma ho pensato di aver preso semplicemente freddo in palestra. Ingenuamente ho pensato fosse una classica influenza stagionale perché i sintomi, tra il raffreddore e il coronavirus, possono essere molto simili. Per la mia sicurezza e di tutte le persone che amo ho deciso di mettermi comunque in autoisolamento. Poco tempo dopo, mio padre è stato chiamato, per via del suo lavoro di carabiniere, a fare il relativo tampone anti-Covid-19, risultando positivo. Per questo motivo tutta la mia famiglia si è sottoposta al tampone risultando positiva, tutti tranne me. La notizia mi ha sconvolto perché ero stata io la prima a manifestare sintomi che potessero legarsi al coronavirus. Al secondo tampone, all’inizio di novembre, sono risultata positiva anche io.

Quali sintomi avete manifestato?

Io, mio padre e mia sorella abbiamo manifestato sintomi lievi. Mia madre invece è stata male, a causa dell’asma. I sintomi sono sempre i soliti: stanchezza, affaticamento muscolare, raffreddore, qualche linea di febbre. Ci siamo accorti, in cuor nostro, di aver contratto il virus quando sono andati via il gusto e l’olfatto. 

Come è stato, dal punto di vista psicologico, sapere di aver contratto il virus?

Naturalmente non è stato per niente facile. Essendo un nuovo virus, non sai al 100% a cosa puoi andare incontro ma soprattutto non hai la certezza di come può reagire il tuo corpo. Vedere notizie di persone, sanissime, che hanno avuto sintomi gravi o hanno perso la vita ci ha terrorizzati. A noi è andata bene. Nella sfortuna siamo stati molto fortunati, non solo per i sintomi lievi, ma perché abbiamo passato del tempo insieme, e questo succedeva raramente a causa del lavoro dei miei e della mia vita universitaria.  È stato un periodo difficile, lenito dalla vicinanza della mia famiglia: ci siamo dati man forte a vicenda e insieme l’abbiamo superato. 

Invece per quanto riguarda l’isolamento sociale? 

Per me, essendo molto giovane e abituata ad uscire con gli amici, è stata molto dura. Vedevo, tramite i social, i miei amici, sempre nel limite del possibile ovviamente, uscire o semplicemente vedersi per una chiacchierata, e questo mi rendeva triste. Mi sono stati molto vicini, ci sentivamo spesso, con alcuni ogni giorno, ma parlare tramite un telefono non è la stessa cosa di poter vedere i tuoi affetti di persona. Non smetterò mai di ringraziare gli amici, ma soprattutto il mio ragazzo, per non avermi mai fatto sentire sola. 

Quali sono stati i momenti più difficili che hai dovuto affrontare?

Il momento più difficile che abbiamo dovuto superare è stato vedere mia madre stare male. Lei soffre d’asma e quindi i sintomi del coronavirus su di lei sono stati molto più pesanti: non riusciva spesso a respirare e ha sofferto di apnee notturne. Abbiamo chiesto aiuto tantissime volte, contattato tantissimi medici, chiamato i numeri d’emergenza ma senza ricevere risposta. In quel momento ci siamo sentiti abbandonati. Fortunatamente il medico di base del paese, tramite consigli e prescrizioni, ci ha aiutato e ha fatto sì che mia madre stesse meglio. La sanità e gli organi competenti non sono stati molto disponibili con noi purtroppo. Un altro duro colpo è stato accettare di aver preso il coronavirus, perché come per ogni malattia, non pensi mai che possa accadere a te. Siamo state persone prudenti e attente alle regole ma purtroppo è capitato lo stesso.

Come ti sei rapportata con i tuoi affetti stabili?

Oltre alla mia famiglia, con la quale ho affrontato l’isolamento, mi sono allontanata, ovviamente, dai miei amici e da Mirco, il mio ragazzo. Non è stato facile non vederlo ma devo dire che la quarantena di marzo ci ha preparati, abbastanza bene direi, ad affrontare la distanza. Infatti nonostante la lontananza fisica è stato sempre presente e vicino anche telefonicamente.

Sei una studentessa universitaria. Questa esperienza ha influito sullo studio e sugli esami?

Posso affermarlo solo adesso con certezza: sì! Mi sentivo sempre stanca, affaticata e non avevo la concentrazione necessaria per affrontare lo studio o gli esami. Oltre ai sintomi fisici, il mio umore non era al massimo ed è stato veramente difficile per me affrontare tutto. Spesso noi studenti universitari non veniamo considerati tra le vittime che il coronavirus, in termini psicologici, sta mietendo, ma invece lo siamo a tutti gli effetti. Siamo stati abbandonati a noi stessi tante volte nel corso della pandemia e studiare, preparare gli esami, non è facile quando la tua vita non è più la stessa. 

Quando è arrivata la diagnosi di negatività cos’hai provato? Quale è stata la prima cosa che hai fatto?

Avere la diagnosi di negatività è come vincere al superenalotto. Non posso descrivere l’emozione che abbiamo provato, eravamo veramente felici. Il tampone negativo ci ha tolto un peso enorme e ci siamo sentiti liberi. La prima a negativizzarsi è stata mia madre, per ultima io i primi di dicembre. La prima cosa che ho fatto appena ho ricevuto l’esito è stata vedere il mio ragazzo e poi uscire per un aperitivo. Sono le piccole cose che ti mancano quando sei isolato da tutti. 

Nei piccoli paesi, molto spesso, chi contrae il Covid-19 si è sentito emarginato e giudicato. Vi siete trovati in questa situazione?

Si, tantissimi nostri concittadini ci hanno giudicato e la notizia della nostra positività è stata data, all’interno del paese, alla pari di uno scandalo. Ciò che ci ha feriti è il fatto che, prima di sapere gli esiti, molte persone sono andate a sparlare di noi, inventandosi che eravamo positivi e non l’avevamo detto a nessuno, mettendo a rischio la comunità. Questo ci ha delusi, non solo perché abbiamo seguito la prassi e ci siamo messi volontariamente in isolamento, ma soprattutto perché essendo una piccola comunità ci aspettavamo più comprensione e vicinanza. Ringraziamo invece i concittadini che ci sono stati vicini e ci hanno dato una mano, comprendendo la delicatezza del momento. 

 

 

Exit mobile version