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Tziu Michael Hoskin e l’orientamento astronomico dei templi a megaron

Alba del solstizio invernale in asse con il tempio a megaron Arcu is Forros A di Villagrande Strisaili (foto gentilmente concessa da Viaggioparallelo)

A cura di Paolo Littarru

 

In prossimità del solstizio d’estate e d’inverno, quest’ultimo trascorso solo pochi giorni fa, torna ormai costantemente d’attualità il tema dell’orientamento dei nuraghe e degli antichi monumenti sardi con i momenti astronomici solstiziali.

In questi giorni è assurto agli onori della cronaca, anche grazie a un convegno recentemente tenutosi e dedicato a “La misura del tempo”, il tema dell’orientamento dei templi a megaron (detti anche templi in antis) dell’Isola. Il termine megaron fu usato per primo dall’archeologo Antonio Taramelli per definire una tipologia costruttiva da lui scoperta presso il villaggio nuragico di Serra Orrios a Dorgali, e di cui si conoscono, ad oggi, una quindicina circa di esemplari, risalenti, secondo gli archeologi, all’età del bronzo finale o all’età del ferro.

La magnifica alba solstiziale presso il  tempio a megaron Arcu is Forros A di Villagrande Strisaili ha attirato decine di persone e risplende sui social media, ma pochi o nessuno ricordano lo Studioso che mise in luce l’orientamento astronomico di questa classe di monumenti, ovvero Michael Hoskin, già professore di Storia dell’astronomia e direttore del Dipartimento di Storia e filosofia della scienza al Churchill College di Cambridge

Lo Studioso inglese si era interessato alle antichità sarde per la prima volta nel 1982, a Roma, dove venne su invito del papa Giovanni Paolo II come organizzatore del convegno per i 400 anni della riforma Gregoriana del calendario.

Nel 1993 Hoskin aveva già pubblicato sul Journal for the History of the Astronomy l’orientamento dei cinque templi a megaron allora scavati, rilevando come l’orientamento di questi momumenti guardasse verso sud est, come i dolmen sardi, i corridoi dolmenici e la maggior parte delle tombe di giganti, da lui stesso rilevate.

Lo studio dei templi a megaron sardi da parte dell’astronomo inglese proseguirono per tutti gli anni ’90 del secolo scorso,  in collaborazione con lo studioso isilese Mauro Peppino Zedda, interessando in totale una quindicina di monumenti. Le frequenze di orientamento si accumulano nell’arco di orizzonte dove sorge il sole nel periodo autunno-inverno e nell’arco in cui sorgeva e culminava la magnifica costellazione della Croce del Sud negli ultimi secoli del II millennio a.C. 

Tali orientamenti sono parsi in perfetta continuità con quelli degli ingressi dei nuraghe del Nord Sardegna, rilevati e pubblicati da Mauro Zedda e, come tutte le epifanie nuragiche, costituiscono motivo di forte suggestione in particolare nel caso del tempio di Arcui s Forros, in cui l’orientamento con l’alba del solstizio invernale è perfetto.

L’archeologo Nicola Sanna, forse ignaro degli studi di Hoskin e Zedda, in una sua  pubblicazione del  2006 propose che  “il culto nei templi in antis differisse da quello in pozzi e fonti (epigeico vs ipogeico) e che fosse forse legato alla luce e alla sfera celeste”. 

Gli studi di Michael Hoskin sui templi a megaron, unitamente ai rilievi su altri monumenti sardi, occupano l’intero capitolo dodicesimo del trattato in lingua inglese, Tombs, Temples and their Orientations. A New Perspective on Mediterranean Prehistory. Bognor Regis: Ocarina Books, 2001 (Tombe,templi e la loro orientamenti. Una nuova prospettiva nella preistoria mediterranea).

Mi piace pensare al professor Hoskin con un aneddoto: nel 2005, durante il suo ultimo viaggio in Sardegna in occasione del convegno della Società Europea di Astronomia Culturale tenutosi a Isili, il plurititolato ricercatore britannico, mi domandò il significato dell’appellativo “Tziu” e “Tzia” che aveva sentito usare con tanta frequenza nei paesi  Sardi. Gli spiegai trattarsi di un appellativo che incorporava deferenza e prossimità, qualcosa di simile, ma non proprio, all’Inglese “Sir”. 

«Mi piace molto. Voglio essere chiamato “Tziu Michael”, non “Professore”», rispose senza un filo di ironia il massimo storico della scienza vivente che ha frequentato, studiato e ama la Sardegna.  

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