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Tra scrittura e lettura. Intervista a Matteo Porru, tra i più promettenti Under 25 del mondo

L’intervista di Massimiliano Perlato allo scrittore Matteo Porru. Ringraziando Tottusinpari, la pubblichiamo integralmente:

 

Qualche tempo fa la rivista ‘D di Repubblica’ lo ha inserito fra i venticinque under 25 più promettenti al mondo. Stiamo parlando di Matteo Porru, un ragazzo meraviglioso che mi piace considerare sia nato per la scrittura.

«Io e la scrittura ci siamo scontrati, non incontrati. Io lo scrittore non lo volevo fare. Volevo fare il regista. – ci racconta con il suo solito sorriso contaggioso Matteo – Avevo aperto un canale YouTube, Filmatteo, sul quale caricavo dei cortometraggi fatti con un programma di animazione e doppiavo le voci. Sceglievo le musiche e  le storie. Insomma, partivo da un concetto, un verbo soltanto: evadere, creare qualunque cosa, qualsiasi storia, purché potesse portarlo via dalla mia».

Matteo fa una pausa riflessiva come a ponderare i termini migliori da utilizzare per proseguire nel raccontare di sé. «Non ho mai avuto un diario e sono sempre molto categorico nel dire che c’è un’enorme differenza fra scrivere per sé stessi e scrivere per gli altri. Ho sempre voluto scrivere per gli altri, per esigenza. Ci sono cose che una persona non riuscirà mai a scriversi, forse perchè ha paura di farlo, e fra queste ci sono anche io. Ho imparato a scrivere editing dopo editing ma soprattutto leggendo: Kesey, Bach, Saramago, Baricco, Brokken, King sono solo alcuni degli autori che mi hanno dato tanto, da lettore. Con la scrittura ho litigato quando non riuscivamo a capirci e l’ho abbracciata forte quando sapeva cosa volessi dire ancora prima che io scrivessi. Oggi è diventata una parte di me, quella con cui ragiono e con la quale guardo cosa accade».

Nonostante i suoi 19 anni d’età, vanta un curriculum letterario di tutto rispetto. Diversi racconti pubblicati sino all’esordio cartaceo a sedici anni con “The Mission”. E in rapida successione le altre pubblicazioni ‘Quando sarai grande’ e ‘Madre ombra’. Nel 2019 vince la sezione Giovani del Premio Campiello con il racconto breve ‘Talismani’.

«Sono in libreria da quattro anni e tre libri per ora. Ma il Campiello Giovani l’ho vinto con un racconto, ‘Talismani’, scritto a sedici anni e di getto, dopo un servizio di un telegiornale. È stata una delle esperienze più impressionanti della mia vita. Non solo per averlo vinto, quel premio, ma per aver vissuto e visto il potere che può avere la letteratura. E per aver conosciuto e condiviso quel percorso con persone meravigliose. Sono le persone che mi colpiscono sempre e da loro nasce una mia idea che cerco sempre di raccontare, il capitale umano: il valore di una persona che legge, di una persona che ferma la sua storia per leggerne un’altra, che magari non le piacerà o che magari la cambierà per sempre ma che comunque le trasmetterà umanità e vita, quel gesto di fiducia e di fede nel racconto. Questo valore è quello che anima le librerie ma ancora di più le presentazioni dei libri. Ogni volta che ne faccio una, rimango sempre stupito dal fatto che il capitale umano è enorme e meraviglioso. Perchè ognuno di noi vive la sua vita ma ha un bisogno disperato di percepire le vite degli altri. E su questo punto, lettura e scrittura si incontrano».

Lo invito a fare un passo indietro e a raccontare di sé, prima di diventare un nome importante nel panorama letterario regionale e italiano. «Sono nato a Roma ma sono cresciuto fra due perle sul mare, Cagliari e Venezia. Ho passato la mia infanzia fra le veleggiate al largo del Poetto e le viste mozzafiato del Canal Grande».

Con circospezione tocca l’argomento dei primi anni difficili a causa di un male terribile e quelli dopo ancora di più per uno sguardo diverso con il quale vedeva il mondo. «Gli altri bambini giocavano con le carte, io andavo a teatro. Sono stato un bambino solo, o meglio affetto da solitudine, un malessere di cui soffro ancora oggi, e penso che quegli anni siano stati il grande cratere che ho colmato con la scrittura. Riuscivo a vedere le cose in un modo e in un mondo tutto mio e avrei voluto raccontarlo e descriverlo agli altri, ma ad ascoltarmi non c’era nessuno. È stato allora che ho iniziato a scrivere, più per sfogo che per svago. Era una valvola che sentivo mia e che sapevo stringere e allentare al punto giusto».

 

Poi sono arrivati gli anni del Classico, dell’adolescenza in cui non è mai semplice comprendere cosa voler fare ‘da grandi’. «Al liceo controbilanciavo i votoni con figuracce colossali, alcune delle quali mi imbarazzano ancora dopo anni, e io non mi imbarazzo quasi mai. Ma è stata tutta vita. Dietro i banchi del liceo e grazie ai banchi del liceo ho conosciuto il mio editore; e dietro e grazie a quei banchi ho imparato una legge che penso sia fondamentale nella scrittura: educa lo sguardo sul mondo, che avevo sempre avuto ma che non avevo mai capito come ponderare. È stato allora che ho finito il mio primo vero romanzo e, da quel momento, le dita sulla tastiera del computer non si sono mai fermate. E non si fermeranno mai. Ora studio filosofia e studi internazionali ed economici a Ca Foscari e di sera, dopo lo studio, faccio due passi nella Venezia che ho conosciuto da bambino, quella senza turisti, un po’ cupa e schiva. E guardo i dettagli delle case, delle cose, delle vite della gente. Ne annoto sempre un paio, quelli che penso siano più veri. E più puri».

Matteo con accortezza ci apre il suo cassetto dei sogni, quello dei progetti per il futuro. E delle sue passioni. «Io non so annoiarmi, non so stare fermo. Mia madre all’inizio aveva provato a farmi apprezzare il non pensare a niente, ma si è arresa. Ho tanti romanzi pronti – dice con molta enfasi – tante storie da scrivere e tante altre da leggere. Ho iniziato a collezionare quadri, un’altra grande passione, e sogno di poter volare presto da solo su un ultraleggero. Ecco, molti pensano che la mia passione più grande sia la scrittura. In realtà, è l’aviazione. Sarà perchè ho sempre avuto la testa fra le nuvole, ma mai fra cumulonembi, o forse perchè ogni mercoledì, da quando ero bambino, andavo a Elmas per vederli decollare. Fatto sta che, se voglio rilassarmi, metto una compilation di planespotting, generalmente o da Amsterdam o da Bruxelles, che hanno le postazioni migliori per l’osservazione degli aerei. Volo col simulatore dal giorno dopo la mia prima comunione ed ero talmente fanatico che ricordavo a memoria gli annunci delle procedure di sicurezza. Penso sempre quanto sia bello volare via. Quando volo da passeggero, vado in aeroporto almeno tre ore prima, mi siedo davanti a una vetrata, spengo il telefono e guardo ‘i giganti’ – li chiamavo così – decollare e atterrare».

Mi congedo da lui. Non potevo farlo senza parlare di Sardegna, l’obiettivo principale della nostra testata. La terra che ci unisce e che amiamo dal profondo. «È una terra viva e straordinaria, piena di sorprese. Non ho radici, concordo con Remo Bodei quando diceva che l’uomo non è una pianta. Ma, dopo averla girata in lungo e in largo per presentazioni ed eventi  – viaggiare è una delle conseguenze migliori dello scrivere -, me ne sono innamorato. Per il calore che emana, per la gioia di vita e di identità che la rende speciale. E per le piccole meraviglie che tiene nascoste e che dovrebbero essere conosciute dal mondo. È una terra di tradizioni, e non di stereotipi, che guarda avanti e fa tesoro di ogni contatto. Ed è una terra che legge, tanto. E che ama le storie».

 

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