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Antonia Mesina, la storia di una ragazza coraggiosa che venne uccisa senza pietà

 

La figura di Antonia Mesina è un esempio di coraggio e di autodeterminazione in una terra in cui la donna lottava per ritrovarsi libera dai condizionamenti e dalle paure. Essa sconvolse i canoni legati alla sua condizione e decise di contrastare l’aggressività di una terra selvaggia opponendosi con coraggio e volontà al suo torturatore, fino al sacrificio di sé.

Nacque ad Orgosolo il 19 giugno del 1919 da un carabiniere Agostino Mesina e da Grazia Rubanu, casalinga. Orgosolo era allora un piccolo paese di collina a 620 metri di altitudine, posto a nord dei rilievi del Gennargentu.

Il paese aveva circa tremila abitanti, aveva caratteristiche case con i cortili a logge, era povero e viveva della pastorizia e della raccolta dei prodotti dei boschi circostanti. È qui che prende corpo la suggestiva figura umana di Antonia Mesina, figlia docile di una terra ingrata e aspra. Era la seconda di dieci figli e proveniva da una famiglia di modeste condizioni. Era bruna, aveva dei folti capelli scuri, due occhi neri molto espressivi con uno sguardo penetrante, alta come un sardo medio di quell’epoca di povertà e di malattie. Aveva un portamento tranquillo e riservato, tipico della donna barbaricina. Frequentò le scuole elementari sotto la guida di un’ottima educatrice che di lei disse: «Era una bambina normale, molto attiva, generosa e servizievole, di indole vivace, ma obbediente. (…) Andava d’accordo con tutti e non si permise mai di venire a scuola impreparata. Sempre rispettosa verso tutti: genitori, educatori e compagni».

Antonia Mesina era una ragazza come tante altre: viveva una vita ordinaria fatta di azioni quotidiane come raccogliere legna nei boschi intorno al paese. Il 17 maggio del 1935, mentre si dedicava a quest’azione tanto familiare, la sua giovane vita venne stroncata, gettando nel dolore i propri parenti. Mentre si trovava nella località di Obadduthal venne sorpresa da un giovane compaesano che tentò di abusare di lei ma la ragazza si difese con tutta se stessa, tanto da provocare l’ira di quel giovane che, accecato dal rifiuto, l’aggredì con violenza massacrandola con 75 colpi di pietra. L’eco della sua morte riecheggiò per tutta Orgosolo che unita la pianse il 19 maggio successivo.

Il 22 settembre del 1978 Giovanni Paolo II° riconoscendone le virtù eroiche approvò il processo di canonizzazione e il 4 ottobre del 1987 salì agli onori degli altari.

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