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Dicius ogliastinus. L’ottavo appuntamento con i modi di dire e i proverbi d’Ogliastra

 

Abbiamo avuto il piacere in queste otto settimane di illustrare vari “dicius”: i detti, le sentenze i proverbi di cui è ricca la millenaria civiltà sarda.

Una memoria storica fatta di modi di dire tramandati da padre in figlio, schegge di una visione del mondo di un popolo fatta di prescrizioni e divieti. Utili consigli da utilizzare nei momenti di allegria e in quelli di sofferenza.

Su “diciu” è sempre meno utilizzato dalle nuove generazioni, eppure rappresenta una ricchezza della nostra cultura da preservare dall’oblio dei tempi moderni. 

Ecco l’ultimo trittico di “dicius”, ricordando che possono essere conosciuti e pronunciati in maniera differente nei vari paesi dell’Isola. 

 

A fueddus macus origas surdas. A parole folli orecchie sorde.

Un detto molto antico, quasi un consiglio alle persone di essere guidati sempre dalla calma e di non accettare le provocazioni altrui. Vivere una vita tranquilla e serena, lasciandosi scivolare addosso le sciocchezze o le lamentele altrui, queste ultime soprattutto quando prive di motivazione. Così facendo si possono evitare conseguenze negative come litigi e incomprensioni, che possono sfociare in violenza.

Chini non podit messai ispìgada. Chi non può mietere può spigolare.

Un modo di dire diffuso nelle varie parlate locali in tutta la Sardegna, che può essere applicato in varie situazioni. Ad esempio: coloro che devono affrontare un evento sfortunato, chi a causa dell’avanzare dell’età non riesce più a realizzare certe imprese e chi si deve adeguare alla spartizione di qualcosa minore a quella concordata. Sicuramente questo detto può avere una lettura positiva e una negativa, ma da sottolineare comunque l’utile consiglio per tutti: cercare di affrontare al meglio le delusioni nella propria esistenza.

Funi accapiat boi e fueddu accappiat omini. La fune lega il bue, la parola lega l’uomo.

Esprime un valore molto importante questo detto: il valore della parola data. Un precetto sacro per gli antichi, tanto che non rispettarlo comportava la perdita della considerazione all’interno della propria comunità. Inoltre sarebbero state innumerevoli le conseguenze nefaste per la propria famiglia, perciò prima di spendere la propria parola occorreva meditare a lungo. Proprio per far comprendere l’importanza e il peso del vincolo che andava ad assumere la persona con la propria parola, il proverbio assimila a questa la fune che lega il bue, animale fondamentale nell’economia dei tempi antichi.

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