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«La scuola deve ripartire il prossimo settembre»: la proposta di Romina Mura (PD)

La scuola deve ripartire il prossimo settembre, parola di Romina Mura (PD). Sì, ma come? Ecco, di seguito, la sua proposta.

“Superare l’esperienza delle classi pollaio e delle pluriclassi.

Riacciuffare la normalità dopo un’esperienza di restrizioni che mai avremo creduto di vivere è desiderio condiviso. Siamo consapevoli che il virus c’è e, in ogni momento, può insinuarsi nelle nostre vite e in quelle dei nostri affetti.

Avere paura non è più sufficiente. Serve cautela e insieme coraggio di riorganizzare la nostra quotidianità, in modo tale da conciliare la tutela della salute con la necessità di vivere, lavorare e tornare a scuola.

Sì tornare a scuola. Tornare nelle aule delle nostre scuole. Magari anche di quelle dismesse da tempo.

In questi lunghi mesi di pandemia, le misure di distanziamento sociale – necessarie per preservare il fondamentale alla salute, diritto dell’individuo e interesse della collettività tutelato dall’art. 32 della Costituzione – hanno stravolto il nostro quotidiano e le nostre abitudini.

Tutti noi abbiamo pagato un prezzo altissimo in termini di socialità.

E fra tutti, a soffrirne di più, sono stati soprattutto le bambine e i bambini, vista la chiusura delle scuole e l’irrompere della didattica a distanza direttamente nelle loro case.

Nel momento di massima diffusione del Covid-19, la scelta della sospensione dell’attività didattica in presenza, fra tutte quelle prese, è stata forse una delle più drammatiche che, sicuro, ha causato inevitabili danni di carattere sociale e relazionale, specie nei più piccoli.

La scuola è socialità, luogo di formazione, di crescita intellettuale e morale, ove poter maturare una coscienza civile e politica.

Il suo significato originario non coincide con quello di un luogo virtuale, ma con quello di un ambiente reale e fisico che non ha nulla a che fare con il semplice meccanico apprendimento di nozioni, con lo ‘smanettamento’ di una tastiera, con la sudditanza ai motori di ricerca.

La didattica a distanza è una modalità di apprendimento, appunto ‘a distanza’, sì valido ma che ha funzionato laddove l’infrastruttura informatica esiste e funziona, ha funzionato rispetto ai bambini e agli adolescenti che vivono in alcuni contesti familiari, quelli più agiati. Non in tutti. Sono rimaste indietro le famiglie meno agiate (che non sempre dispongono di strumenti informatici adeguati), e che vivono in territori meno infrastrutturati e periferici.

Dal punto di vista formativo molti dunque sono stati i danni, soprattutto nelle scuole dell’infanzia e in quella primaria, perché è lì che i bambini maturano il senso della socialità e del rapportarsi con gli altri.

Al rientro, nel mese di settembre, è fondamentale che la scuola riprenda in presenza e in modo ordinario per tutti e su ogni territorio, comprese le periferie urbane e rurali, costruendo le condizioni perché ciò avvenga e salvaguardando quel parametro del distanziamento sociale dal quale non potremo più prescindere, almeno nel breve periodo.

Ritengo che questa fase storica ci richiami a fare una scelta coraggiosa e strutturale.

Superare le classi pollaio nelle grandi città e le pluriclassi nei piccoli comuni.

Due realtà opposte ma speculari, che hanno in comune ciò che in questo momento è vietato o quanto meno è fortemente sconsigliato. L’assembramento.

Occorre, allora, diminuire il numero di alunni per classe, attraverso la revisione dei parametri specifici osservati nella costituzione e nella formazione delle classi delle scuole italiane. Questo il contenuto della mia proposta di legge appena depositata.

Un intervento che – nei prossimi giorni presenterò i contenuti – vuole intervenire sui parametri legislativi utilizzati per costituire le classi. L’attuale contesto normativo prevede la necessità di un numero minimo di alunni perché possa formarsi una classe. Altrimenti si opta per la pluriclasse ovvero per l’accorpamento di plessi scolastici.

Propongo che la Legge determini, esclusivamente, un numero massimo di alunni per evitare le classi pollaio, senza porre limiti al numero minimo di composizione delle stesse, al fine di assicurare distanziamento sociale, maggiore sicurezza, igiene e vivibilità e di migliorare la qualità della didattica, anche con riferimento agli alunni con disabilità.

In materia di sovraffollamento delle classi, si sono registrate diverse pronunce giudiziali. Recentemente, il Tar Sicilia, ha ribadito che l’eccessivo numero di alunni per classe, oltre a non garantire la qualità della didattica, viola la normativa sulla sicurezza e prevenzione antincendio e aggrava i rischi per l’incolumità pubblica.

D’altro canto, nell’Italia dei piccoli comuni, la geografia delle scuole è stata stravolta.

Numerosi i casi di comuni del nostro Paese, in cui le scuole primarie e secondarie di primo grado (comunemente dette elementari e medie), sono state chiuse perché si è ritenuto non conveniente mantenerle aperte da un punto di vista dell’economia di bilancio, data la consistenza numerica delle stesse. Ciò ha costretto bambini della fascia di età compresa tra i 3-6, 6-10 e 10-13 anni a frequentare scuole ubicate in altri Comuni, con conseguenti sacrifici per gli stessi, costretti a un pendolarismo sin dalla prima infanzia, per le famiglie di appartenenza oltre alle rilevanti spese per il trasporto scolastico a carico dei bilanci comunali e regionali.

In altri comuni, le classi delle scuole primarie e secondarie di primo grado sono state ridotte, come già accennato, addirittura a una, due o più pluriclassi con un numero di 15-18 bambini di età differenti, con evidente e conseguente riduzione della qualità dell’attività didattica e dell’efficacia dell’apprendimento, soprattutto in presenza di alunni con disturbi specifici dell’apprendimento (cd. DSA) o con bisogni educativi speciali (cd. BES) rispetto ai quali, si dovrebbe semmai facilitare e potenziare l’inclusione scolastica.

Alla luce delle problematiche sopra esposte che si protraggono da anni è, dunque, evidente come le cd. classi pollaio, come le pluriclassi, presentino dei punti di fragilità che emergeranno, in maniera prepotente, soprattutto nei prossimi mesi quando inizierà il nuovo anno scolastico che dovrà fare i conti anche con il distanziamento sociale, divenuta nuova regola di riorganizzazione anche della rete scolastica.

Non abbiamo tempo per costruire nuove scuole.

Si possono, però, riaprire le scuole chiuse sulle quali, per esempio in Sardegna, abbiamo fatto importanti investimenti di ristrutturazione e qualificazione.

Si possono formare piccole classi, di 6, 7, 8 alunni. Perché no?

A settembre, si potrebbe determinare un numero di insegnanti adeguato.

Con le assunzioni fate negli anni scorsi.

Se si stabilizzassero gli attuali precari, in servizio da anni presso le nostre scuole.

Senza la pretesa di semplificare la complessità, vedo una opportunità.

Quella di ripartire e rinascere dalla scuola”.

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