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Per i cori difficile riprendere il lavoro in sicurezza. La parola a Giuseppe Altea, direttore del Coro Carrales

Per un complesso corale, principalmente caratterizzato da un repertorio la cui esecuzione non preveda l’utilizzo di strumenti, denominato “coro voci secche” o ” coro a cappella “, non sembra facile far conciliare la ripresa dell’attività con le giuste misure di sicurezza. La parola – su questo argomento – a Giuseppe Altea, direttore del Coro Carrales.

«Ho avuto modo di vagliare proposte come, ad esempio, quella che prevederebbe l’utilizzo dei parchi o di ampi spazi aperti che potrebbero essere utilizzati in qualità di “sala prove” alternativa – spiega il maestro Altea – Per quanto l’idea del fare musica immersi nella natura possa essere stimolante e decisamente rilassante, sono tuttavia ben consapevole delle relative difficoltà e attento a trovare una soluzione ideale. In proposito , vorrei esporre alcuni aspetti, frutto di una mia riflessione, dei quali credo non si possa ignorare l’esistenza e la determinante importanza.

Aspetti che auspicabilmente potrebbero offrire uno spunto costruttivo anche per altri direttori, dei quali mi piacerebbe conoscere il punto di vista a riguardo. Inizierei l’analisi nel considerare una significativa componente: negli spazi aperti il suono si disperde molto più facilmente. Cantare in un luogo aperto risulta essere difficoltoso quando il coro è disposto in più file, a “scacchiera” oppure quando è disposto in cerchio in una distanza ravvicinata, lo è anche per dei cori professionisti, figuriamoci per dei cori amatoriali, magari poco numerosi!

La difficoltà nel dover cantare distanti l’uno dall’altro, sovrastati dal chiasso del traffico o da quello dei passanti costituisce certamente un altro elemento non trascurabile. Altri fattori che potrebbero impedire un corretto e fruttuoso svolgimento delle prove potrebbero sostanziarsi nel vento che naturalmente disperde il suono.

Per un corista avere la possibilità di ascoltare il proprio vicino – e nel contempo tutti gli altri – rappresenta un punto di fondamentale importanza, non solo perché si possa avere un’intonazione accettabile ma anche perché rappresenta un fattore subordinato al complessivo affiatamento del coro, in quanto unità compatta. Ulteriormente le dinamiche musicali (cantare piano, mezzoforte, forte crescendo etc etc ) che costituiscono di per sè un buon 50% della buona riuscita – soprattutto emotiva – del brano verrebbero ad essere completamente sfasate.

Un “piano” fatto all’aperto è completamente diverso dello stesso ” piano” eseguito al chiuso per via dei succitati motivi. Non parliamo poi di repertori madrigalistici nei quali la precisione ritmica e la complessità delle armonie richiedono uno scenario acustico ancor più esigente. Purtroppo un’eventuale amplificazione (parlo sempre di questo genere di cori) non sarebbe di certo la soluzione adatta, soprattutto per le prove. Se dovessimo poi curare le varie sfumature dei brani, allora sarebbe un’ulteriore disastro. La musica è un insieme complesso di suoni, armonie, dinamiche e sentimenti imprescindibilmente ben miscelati. Se le condizioni acustiche non sono favorevoli non risulta essere possibile esprimere le sfumature che rendono emozionanti e uniche nella propria esecuzione sia le musiche più semplici che quelle più complesse.

Questo aspetto vale sia per chi esegue, e ha il compito di trasmettere attraverso il canto le emozioni, sia per il pubblico che percepisce e ascolta e che, a sua volta, ha il diritto di essere messo nelle condizioni in cui possa godere pienamente della musica. Personalmente sono convinto che si debbano trovare degli spazi adatti, certamente al chiuso e con i dovuti accorgimenti, ma dovrebbero essere luoghi nei quali si possa realmente tornare fare “Musica” con “M”, non con la “m”.

La musica corale è musica d’insieme, non vive meramente di pratiche tecnicistiche isolabili o manipolabili ma si nutre, cresce , si evolve e si concerta corposamente in una dimensione inesorabilmente umana da cui non si può prescindere. Probabilmente questa è la ragione culturalmente fondamentale per cui appare alquanto complesso o difficoltoso trovare espedienti o strategie alternative per fare musica d’insieme nella critica e singolare epoca del Coronavirus».

 

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