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Disabilità e associazionismo durante l’emergenza Covid-19: l’esperienza di Ogliastra InForma

“Siamo un’associazione di volontariato che opera con persone con disabilità intellettive, nata tredici anni fa, a Ilbono, paese di poco più di 2mila anime ancorato al cuore di una ex provincia sarda chiamata Ogliastra” si legge scritto in un comunicato stampa dell’associazione Ogliastra InForma. “Le nostre radici affondano nella storia di Luca, ginnasta con autismo di 36 anni, e della sua famiglia. Un racconto lungo e costituito da tanti tasselli, assemblati con cura nel servizio che Le Iene ci dedicarono nel 2015 (consultabile al link https://www.iene.mediaset.it/video/nina-l-eccezionale-vita-di-luca_68862.shtml), utile al fine di comprendere quale sia l’idea e quali siano gli ideali che muovono le nostre azioni. Parlare di integrazione è relativo e inesatto: quella alla quale puntiamo è l’inclusione, intesa anche come cittadinanza attiva, come dovere del singolo e della comunità tutta verso ogni suo membro, nessuno escluso. E lo facciamo attraverso laboratori e attività utili al benessere psicofisico della persona, il potenziamento dell’autonomia, il coinvolgimento costante della comunità e tanto, tantissimo sport (grazie anche all’affiliazione a Special Olympics).

Lo sconvolgimento della quotidianità introdotto dalle misure previste per il contenimento dell’emergenza ha ovviamente influito anche sull’equilibrio dell’associazione e ancor più delle persone che ne costituiscono parte. La chiusura delle nostre porte ha lasciato lo spiraglio per un solo, unico quesito: «E adesso, come facciamo?». Ogliastra InForma non è un’impresa ma un’associazione con uno scopo preciso, costituita da soci che sono alcuni dei famigliari delle diciotto persone con disabilità che la frequentano. Non costruiamo beni di prima necessità, ma la nostra esistenza – e presenza – è fondamentale, per tutta una serie di motivi che spaziano dall’indubbia esigenza di un alleggerimento del carico famigliare, al fatto che le nostre modalità di azione non possono non determinare un coinvolgimento anche emotivo delle parti.

Parliamo non di cambiamento ma di “sconvolgimento” della quotidianità perché di questo si tratta: il cielo fuori è alto, la primavera si fa sentire sempre di più; è mercoledì, giorno di associazione, ma il pulmino nero con i cuori rossi non viene a prendermi. È difficile, in alcuni casi quasi impossibile, percepire un pericolo che non è concreto e che non ci minaccia fisicamente dall’esterno impedendoci di uscire di casa. Ma bisogna farlo, è doveroso ed è necessario così come lo è il bisogno di adattarsi per garantire la sopravvivenza di una specie, la nostra, quella di piccola realtà associativa “non indispensabile”, che senza creatività, passione, risorse e disponibilità rischia l’estinzione.

Abbiamo creato un quaderno della quarantena: contiene tutta una serie di attività da svolgere a casa, che riprendono – anche se in parte – quelle tipiche che svolgiamo durante la normale attività associativa. Ci sono le attività inerenti la didattica così come delle ricette semplici per non perdere la mano (tra i vari laboratori c’è infatti anche quello di cucina, Ogliastra Inforna!), ultimo ingresso – anche se un po’ a rilento – la ginnastica, grazie a dei video realizzati da una volontaria. Stiamo preparando il secondo quaderno: il primo è già andato, ovviamente grazie all’ausilio di chi lavora in associazione, che ha trascorso queste giornate di quarantena contattando tramite chiamata o videochiamata la persona impegnata col quadernino, e accompagnando interamente l’attività del giorno. Nota positiva: questa situazione, oltre alle attività in agenda, ci permette di svolgere attività individuali direttamente rivolte alla persona, come – ad esempio – gli esercizi per migliorare la memoria che svolgiamo con il nostro Francesco, 13 anni, studente con sindrome di down.

Il perché della scelta di avviare immediatamente le attività telematiche è costituito da tanti elementi sui quali la deontologia non consente di sorvolare: non potevamo interrompere completamente le relazioni e i contatti con i ragazzi e le ragazze dell’associazione; era necessario attivare proposte didattiche utili a mantenere gli obiettivi posti e raggiunti prima della quarantena così come lo è anche favorire la comunicazione delle esperienze vissute, la condivisone dei problemi, l’accesso alle informazioni e alle notizie legate alla situazione di emergenza.

Le attività telematiche sono quindi uno strumento di relazione, in quanto utile pretesto per mitigare lo stato di isolamento sociale connesso a questa specifica situazione. La relazione è la chiave di ogni contesto di apprendimento: coltivare la relazione è, dunque, strumento indispensabile a quel processo di costruzione del saper e del saper fare. Processo quest’ultimo che in associazione ha necessitato di mesi, talvolta anche anni di lavoro, perché prima di tutto bisogna potersi fidare l’uno dell’altro, poi possiamo anche imparare a scrivere, disegnare, fare ginnastica. In un momento così delicato l’attività telematica è davvero un ottimo pretesto per ricordarci che prima di tutto c’è la reazione, che quel rapporto che con tanto impegno abbiamo costruito è più forte dell’isolamento e che è valsa la pena costruirlo.

Le attività telematiche sono poi uno strumento didattico, perché il processo di costruzione del sapere e del saper fare non può interrompersi, necessita solo di un nuovo ambiente di apprendimento. E questo nuovo ambiente, che sono le video chiamate o le chat, è un’opportunità per focalizzarci ancor più sulla specificità della persona e della sua famiglia. Durante i Laboratori didattici abbiamo studiato i Promessi Sposi: con gli audio libri per chi non può vedere, con i video per chi non può sentire, con le mappe concettuali o con le immagini per chi ha bisogno di questo supporto, con le carte dei personaggi per chi ha difficoltà a ricordare tutti i nomi, con tutti quelli strumenti insomma che ci permettono di far raggiungere a tutto il gruppo lo stesso obiettivo. La situazione attuale ci permette di entrare nella camera di ognuno dei nostri ragazzi rimodulando gli obiettivi formativi e concentrando le attività sulle capacità di ogni persona, facendo leva sugli interessi e concentrandosi sui “punti deboli”.  Questo richiede un lavoro di programmazione completamente differente, con strumenti completamente differenti, in un ambiente completamente differente. E allora gli obiettivi formativi devono nuovamente essere rimodulati, perché non siamo seduti fianco a fianco nei Laboratori, che sono il nostro naturale ambiente di apprendimento, custode di tutto il materiale e gli strumenti che ci servono. Adesso tra noi c’è uno schermo, al fianco dei nostri ragazzi c’è una sorella, una mamma o un nipote che hanno modalità comunicative e strategie differenti dalle nostre, o che semplicemente non conosciamo. C’è uno schermo che è difficile da gestire perché «il telefono si muove», «la linea cade», «non sento», «l’immagine si è bloccata», «dov’è che devo colorare?». Allora i nostri obiettivi devono essere nuovamente rimodulati e adattati anche a questo: attraverso tale variazione, modifichiamo nuovamente la progettazione concentrandoci anche sui materiali a disposizione, sulla modalità di gestione degli incontri e sulla relazione con la Famiglia. D’altronde stiamo tutti imparando in questa nuova situazione.

Le attività telematiche sono infine uno strumento di condivisione. Stiamo attraversando un momento storico complesso, la nostra quotidianità è sconvolta ed è molto difficile capirne il motivo.

Abbiamo impiegato tempo per costruire ogni relazione con i nostri ragazzi, altrettanto per avviare quel processo di costruzione del sapere e del saper fare. Fermare tutto senza preavviso è frustrante, è un punto interrogativo enorme che pesa sul nostro stato d’animo. E allora le attività telematiche servono anche a comprendere cosa sta succedendo, quali sono le preoccupazioni che affliggono i nostri genitori, perché non posso fare colazione al bar, perché non posso uscire anche se ho indossato le scarpe.

La volontà dietro questa relazione è quella di diffondere una prassi, una modalità di azione, in un momento in cui piccole ma essenziali attività si trovano ora davanti a quello stesso quesito che ci ha spinto ad agire: «E adesso, come facciamo?». La volontà è anche quella di sottolineare quali siano alcune delle problematiche generali vissute da una compagine, quella delle persone con disabilità e delle loro famiglie, che rientra tra le tante alle quali la narrazione del ‘restate a casa, andrà tutto bene’ non basta e – soprattutto – non rincuora.

La speranza è che invece la nostra esperienza possa essere utile a tutte queste piccole realtà sormontate da enormi punti interrogativi ai quali trovare una risposta può essere complesso.

La fiducia, infine, noi la riponiamo nella comunità, intesa come entità senza un confine definito, composta da esseri umani, ognuno dei quali, con determinate caratteristiche, peculiarità e quotidianità differenti, vive la propria esistenza consapevole di non essere solo. Consapevole del fatto che la situazione attuale ci impone di essere isole, ma non ci vieta di essere arcipelaghi circondati dal mare della solidarietà.”

Nelle foto, Luca Ferreli, ginnasta con autismo di 36 anni: “Colui grazie al quale tutto ha avuto inizio” specificano dall’associazione.

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