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Il Capodanno a Perdasdefogu negli anni 40. I ricordi di Antonio Lai e Tittina Usai

Gli anziani foghesini ci parlano di un periodo in cui, nonostante la scarsità di cibo e beni materiali, la gente cercava comunque di festeggiare al meglio ogni singolo evento speciale.

Durante il Capodanno, era abitudine del centro ogliastrino riunirsi in gruppi di 4 o 5 famiglie.  A cena si cucinavano fave bollite, assieme alle zampe del maiale che era stato ucciso per le feste natalizie. All’interno della casa destinata ai festeggiamenti si faceva bollire, fin dal primo pomeriggio, un pentolone di grandi dimensioni; perciò, durante la vigilia del Capodanno, si sentiva per tutto il paese un delizioso profumo di fave. All’epoca non esisteva corrente elettrica e dunque, quando arrivava la notte, in assenza di luna piena, la gente cercava di illuminare le strade mediante l’uso di lampade costruite con un recipiente contenente dell’olio di lentischio, o petrolio, o carburo.

All’interno della lanterna veniva inoltre posto un pezzo di stoffa che fungeva da stoppino. Con questo tipo di illuminazione si veniva a creare una atmosfera magica, poiché l’osservatore lontano poteva intravedere soltanto delle luci che, spostandosi simultaneamente, creavano un movimento simile a quello delle lucciole durante le serate estive. Terminata la cena, si attendeva l’arrivo della Mezzanotte con  giochi, balli e canti.

giovincelli, davanti al fuoco, si divertivano nel lanciare a turno, all’interno di esso, due foglie di olivastro, pronunciando nel mentre un nome di un ragazzo e di una ragazza; se entrambe le foglie avessero scintillato, i due giovani si sarebbero potuti sposare poiché innamorati. Se avesse scintillato soltanto una foglia, invece l’amore non sarebbe stato corrisposto. I più piccoli invece effettuavano il gioco “de sa matta de arangiu”, “scala scala” o “de sa punta de sa mendula”.

Tutte queste attività venivano poi intervallate dai “muttettusu” (alcuni dei quali venivano tramandati di padre in figlio) e dai balli accompagnati dalla musica prodotta dall’armonica a bocca. A quel tempo non esistevano orologi, perciò, soltanto scrutando le stelle, si poteva comprendere se fosse arrivata la tanto attesa Mezzanotte.

L’arrivo della Mezzanotte veniva accompagnata dall’apertura del buon vinello, nonché da un antico rito che consisteva nel posizionare, al di fuori della porta di casa, alcuni oggetti appartenenti all’anno precedente e, nel compiere tale gesto, veniva pronunciata la frase: “Attrusu annusu melgiudu”.

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