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Gigi Riva e la rivincita degli ultimi. Lettera aperta di un tifoso qualsiasi

Caro Gigi, ti scrivo, così ti racconto un po’. Ti scrivo perché da qui, seduto al PC, è tutto molto più facile, perché tutte le volte che ti ho incontrato in giro per Cagliari o al tavolo del solito ristorante, un misto fra emozione e rispetto per la tua riservatezza mi ha impedito di dirti qualcosa di diverso da quel “ciao Gigi, grande!”, o al massimo “Forza Cagliari”. E allora ne approfitto qui, dalle pagine di Vistanet, per far finta di “parlare” con te, come se fossimo al tavolo. Ci provo, e chissà, impresa impossibile, fra i messaggi delle varie leggende del calcio italiano e mondiale, a questo giro mi dice bene e leggi, o ti riportano, anche i  miei auguri. Insieme ai saluti di Totti, o di Buffon, di Rivera o di Lippi, di Baggio e di chissà chi altro ancora, io aggiungo anche le parole di un tifoso qualunque.

La marea di affetto dalla quale verrai travolto oggi non è frutto solo dei numeri, delle tue imprese sportive, dello Scudetto del 1970 o del record di gol in Nazionale; sei palesemente l’attaccante italiano più forte del Dopoguerra, forse di sempre. C’è qualcosa di diverso. Quel “no” alla Juve per non tradire la tua gente? Forse, siamo sulla strada giusta, provo a seguirla. Probabilmente la chiave sta proprio lì, nello sgambetto al potere, nei deboli contro i forti, Davide contro Golia o, per stare in Sardegna, Amsicora contro l’Impero Romano. Perché più bello di una vittoria, c’è solo una vittoria inaspettata, come fu quella del tuo, e nostro, Cagliari. D’altronde, quanta simpatia proviamo quando chi ha dovuto abbassare la testa, la rialza, sia nella vita che nello sport. Ecco, allora inizio a spiegarmi il perché sei così diverso da altri grandi calciatori, magari pure più forti e più vincenti di te. Tu, Rombo di Tuono, secondo quella definizione che solo il genio di Gianni Brera poteva coniare con così tanto successo, sei stato il simbolo di una rivincita, il condottiero di un esercito di invisibili (tali eravamo, o siamo ancora?, noi sardi) con i quali, almeno dal punto di vista simbolico, i “forti” hanno dovuto fare i conti.

Il tuo mito evidentemente sta proprio in questo: nell’essere il simbolo di noi ultimi, di quelli che vengono sottovalutati, di chi (destino di molti sardi di allora come di oggi) è stato costretto a lasciare la propria terra per trasferirsi dove si veniva guardati, quando andava bene, con ironia o, quando andava male, con superiorità se non addirittura con disprezzo. Fattelo dire Gigi anche se già lo sai: quando hai trascinato il Cagliari nelle sue inaspettate vittorie sei stato l’operaio che si ribellava al padrone, l’impiegato che si riscattava dalle prepotenze del capoufficio. Se in Paradiso “gli ultimi saranno i primi”, quella vittoria di cui sei stato protagonista ne è stata una breve ma indimenticabile rappresentazione terrena.

E allora mi chiedo: siamo sicuri sia stato solo calcio?

E poi quel “no”, quando chi ha capito che se non ti poteva battere, ha provato a comprarti, lo hai rispedito al mittente, perché hai capito chi eravamo noi sardi. E ancora oggi non lo dimentichi, ripetendolo come un mantra ad ogni intervista, che chi non siede al tavolo dei “forti” ha bisogno di te, ha bisogno di qualcuno che non lo tradisca, che mantenga la parola, di chi rifiuta le tentazioni perché i suoi principi sono più forti. E tu non ci hai tradito.

Uno dei tuoi avversari più duri in campo una volta raccontò: «Quando Riva superava la metà campo assomigliava alla migrazione di un popolo. Ti sembrava di sentire il rumore dei carri e la polvere alzarsi tutt’intorno». Forse non c’è bisogno di aggiungere altro, quel popolo eravamo noi sardi, per una volta lontani dal cliché di “pocos, locos y mal unidos”, e tu, immortale, davanti a tutti a testa bassa. Quella testa che per noi hai messo tante volte dove altri giocatori avevano paura di mettere anche solo la gamba. Oggi chiudo gli occhi, e vedo noi pastori, pescatori, minatori, operai, emigrati, riempire ancora un’ultima volta gli spalti dell’Amsicora dalla mattina, aspettando di vederti uscire dagli spogliatoi per sfidare, ancora una volta, i capi, i ricchi, i padroni, i potenti.

Fabio Lapenna, tifoso.

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