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Antichi riti durante le festività dei santi e dei defunti: il legame dell’Isola con il mondo delle anime

Camera del morto, ricostruzione. Autunno in Barbagia. Foto di Roberto Anedda.

L’usanza di celebrare i morti presso le antiche culture affonda le radici in epoche remote.

La Sardegna conserva antichi riti intrisi di credenze magico-religiose che testimoniano il culto delle anime.

Questi si svolgono, secondo la tradizione, nel periodo dell’anno in cui il mondo dei vivi entra in contatto con quello dei morti.

Questo avverrebbe tra la notte del trentuno e il primo novembre, nel quale i morti si aggirerebbero liberamente nelle strade.

Sarebbero le anime penitenti in cerca di trovare il perdono e raggiungere la grazia di Dio.

Proprio per alleviare le pene di queste, i bambini vanno a bussare alle porte chiedendo dei doni, che in passato consistevano in prodotti agricoli o frutta di stagione.

Ogni volta che qualcuno apre l’uscio di casa e fa entrare i bambini regalandoli qualcosa, un’anima finirebbe di scontare la propria pena.

Nell’Isola questo rito è conosciuto con vari nomi: mortu-mortu, is animas, su beni ‘e is animas e su prugadoriu. Quest’ultimo nel paese di Seui denomina la manifestazione legata al culto dei morti che si svolge ogni anno.

Un’altra usanza, meno nota, consiste nel mettere un piatto – con del cibo – in più sulla tavola durante il trentuno notte.

Questo sarebbe destinato alle anime affamate, e si toglie solo la mattina seguente.

Tanti raccontavano di trovare il giorno successivo il piatto spostato dalla originaria posizione o senza il cibo.

Sempre secondo questo rito, bisogna lasciare sempre la porta di casa aperta per permettere alle anime un più facile accesso.

Un modo dimostrare l’affetto ai cari venuti a mancare e un profondo segno di rispetto per i defunti.

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