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Claudia Aru a Loceri con le tzie: “Sono le mie muse”. Presto nuovo progetto

«Oggi ho incontrato le mie modelle preferite, le mie straordinarie collaboratrici con le quali ho fatto una fortunata serie di foto funzionali a uno spettacolo in cui parlo proprio di loro» ha scritto qualche giorno fa la nota cantante Claudia Aru su Facebook.

Per promuovere il suo spettacolo estivo, l’anno scorso, ha usato Loceri come set. Modelle per un giorno, accanto a Claudia, le anziane del paese.

«Le ziette in Sardegna sono una cosa molto seria, le zie, che non sono sorelle di mamma o papà, ma donne che ” vanno rispettate ” per il loro sapere, per la loro esperienza» spiega. Ed era proprio questo il fulcro del suo spettacolo, “Claudia e le sue tzie”.

«Io, a loro, ho dedicato tantissimo tempo, le chiamo “le mie muse”, perché mi ispirano e mi stringono il cuore» continua sui social. «Ma la cosa più importante è che non abbiamo affatto concluso il nostro percorso. E sì, ci sarà un seguito. Se solo vedeste il loro entusiasmo, la loro felicità, mista a una proverbiale timidezza, che ha richiesto uno stretto corteggiamento da parte mia, ma che le ha viste cedere alla mia nuova follia.
“Oja, chi l’avrebbe detto che alla mia età…”
“Grazie dell’opportunità che ci dai”.
“Vediamo, se Dio mi lascia, lo faccio”.
“Hiii, coru miu, devo stare attenta a non cadere “.
Grazie, mie favolose zie di Loceri e grazie alle mie manager Ornella, Sara e la piccola Matilda. E grazie ad altre persone che oggi mi hanno accolta e mi hanno dato fiducia. Ma non voglio/posso dire altro. Anche le mie ziette hanno detto “Cittudì, aspettiamo, ca no portada beni”.»

«Esiste, in Sardegna, un concetto di comunità che si intreccia con quello di famiglia. La definizione di “tzia” non necessariamente implica un vincolo parentale, ma è comunque ampia e interessante. “Tzia” è qualunque signora che ha oltrepassato i 65-70 anni,» raccontava Claudia l’anno scorso, quando si preparava al tour estivo «che si conosce in prima persona o tramite la famiglia. Le tzie sono quelle che ti amano e ti stimano, certo, ma sono anche acide, un po’ “tzaccate”. Sono quelle che ti hanno bucato il pallone almeno una volta nella vita, che ti fanno spostare la macchina anche se ci passa un treno. Sono quelle che ti passano i cinquanta euro senza farsi vedere, quasi come un pusher. Sono quelle che se sei ingrassata te lo dicono – e persino con una certa virulenza – e che se ancora non ti sei sposata ti fanno notare che non sarà facile a quest’età trovare marito. “Là che non ti vuole nessuno”, ti dicono. E lo possono fare, si possono arrogare il diritto di intrufolarsi nella tua vita perché loro rappresentano la famiglia, loro sono all’interno della tua famiglia. Lo trovo un concetto molto dolce, ecco perché ho deciso di incentrare la narrazione su tutto questo. Nei miei spettacoli, che uniscono sempre la musica al teatro, ad esempio, c’è tzia Pinuccia, quella che cucina perennemente e che ha, come unica manifestazione d’affetto, l’invito a mangiare sempre. Non è dolce, nel suo “Pappa!”, né gentile. Però ti sta dimostrando tutto il suo amore. Un’altra cosa che racconto è il clima delle processioni: insomma, c’è sempre una tzia che lotta e combatte strenuamente per avere l’ambitissimo ruolo della “portatrice dello stendardo”».

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