ogliastra.vistanet.it

Ogliastrini nel mondo. La giovane Martina Chironi di Triei e il volontariato in Africa

Martina Chironi, 22 anni, di Triei, nel 2015 si è diplomata al Liceo Scientifico di Tortolì e, subito dopo, ha deciso di iscriversi alla facoltà di Scienze Infermieristiche dell’Università di Torino, con sede a Cuneo.

E’ proprio qui che, nel febbraio del 2018, ha seguito il corso di Antropologia, tenuto da una professoressa che ha saputo catturare la sua attenzione, trattando tematiche attuali e portando in classe casi di studio reali. La docente in questione ha parlato con i ragazzi della sua associazione di volontariato, impegnata nell’aiutare le famiglie bisognose di Torino offrendo loro pasti e capi d’abbigliamento, e ha raccontato loro di alcuni viaggi organizzati dall’associazione stessa, per fare volontariato in diverse zone dell’Africa, principalmente in Senegal.

Martina, da subito interessata alle tematiche trattate in aula, ha deciso di informarsi meglio sulla possibilità di partire come volontaria in Africa e, dopo aver ottenuto tutte le informazioni in merito, ha preso la decisione di provare a vivere quest’esperienza di vita.

«Inizialmente non è stato semplice, soprattutto perché non ho avuto sin da subito l’appoggio dei miei genitori. Purtroppo, al giorno d’oggi, il pensiero comune associa l’Africa alle guerre e alle malattie, quindi è stato difficile per i miei genitori accettare la mia scelta. Nonostante ciò, ho deciso di partire per questa nuova esperienza e, anche se i miei genitori erano un po’ timorosi, alla fine mi hanno sostenuta sia economicamente sia moralmente durante quelle tre settimane.»

Prima di partire, Martina si è sottoposta a tutte le vaccinazioni necessarie e si è procurata l’equipaggiamento di cui avrebbe avuto bisogno per fornire assistenza una volta arrivata a destinazione (strumenti medici, farmaci, kit di primo soccorso, ecc).

Martina, durante il suo soggiorno africano nella città M’bour, ha alloggiato, insieme a tutti gli altri volontari, presso la residenza di un signore che si occupa della gestione dei volontari e dell’organizzazione di questi viaggi, all’interno di diverse associazioni.

Dal lunedì al venerdì, ogni mattina, i volontari del gruppo di Martina si recavano dai bambini di strada (“Talibé”), per fornire loro assistenza, garantendo una colazione, la possibilità di farsi una doccia e di ricevere assistenza medica.

In questa cultura, ciascun bambino di strada è affidato a un signore che si occupa di istruirlo, leggendogli il Corano, ma questo non gli garantisce anche un pasto, quindi ciascuno deve procurarsi del cibo o dei soldi vagando per le strade.

«Il primo impatto è stato molto forte – racconta Martina – è chiaro che non mi aspettavo chissà quali agi o ricchezze, ma trovarmi in quella situazione in prima persona non è stato per niente facile, soprattutto dal punto di vista emotivo. Ricordo bene la medicazione che feci al primo bambino: non riuscivo a smettere di piangere.»

Durante il fine settimana, invece, il gruppo di Martina si recava nell’orfanotrofio, che ospitava bambini sino ai 10 anni e aveva una parte riservata esclusivamente ai bambini con problemi alla psiche. In questo luogo, i bambini sono maggiormente tutelati, perché è garantito loro un pasto, un posto letto e la possibilità di lavarsi e cambiarsi; si tratta, in ogni caso, di bambini soli, ma che ricevono una buona assistenza, rispetto a coloro che vivono per strada.

Dal punto di vista della cultura, Martina racconta che tutti sono stati molto ospitali con lei e gli altri italiani presenti sul posto e che il senso della famiglia e della condivisione era molto forte: tutti i volontari si muovevano con un carretto trainato da un asino, lavavano i loro vestiti utilizzando l’acqua raccolta dal pozzo e mangiavano tutti insieme utilizzando un solo piatto, posto al centro del tavolo.

Il proprietario della casa all’interno della quale alloggiava Martina, però, era benestante rispetto al resto della popolazione, quindi al termine dei pasti, molti bambini di strada bussavano alla sua porta per chiedere avanzi di cibo.

«Non dimenticherò mai una scena a cui ho assistito durante quel periodo: avevamo appena dato a un bambino di strada una piccola porzione di riso e, contemporaneamente, un gattino malnutrito passava per la strada; il bambino, vedendolo passare, senza esitare, gli ha ceduto la sua porzione di cibo. Ancora oggi rabbrividisco pensando a quel momento, perché mi ha fatto riflettere tanto sull’umanità di queste persone che hanno poco o nulla, ma sono comunque generose con il prossimo

Martina racconta di essere tornata da quest’esperienza molto arricchita a livello interiore.

«La fine di questo viaggio per me è stata devastante perché, se da un lato mi ha dato tanto, mi ha anche fatto rendere conto che tutte quelle cose che sentiamo alla televisione sui bambini che non hanno da mangiare, sono molto peggio di ciò che sembrano. Nonostante io abbia cercato di rendermi quanto più possibile utile per queste persone, sono tornata a casa con la consapevolezza di non aver dato un grandissimo contributo, perché i farmaci non bastavano e le medicazioni servivano a poco. Ancora oggi, a distanza di quasi un anno, penso al viso di quei bambini che mi chiedevano cibo e aiuto e mi sento male al pensiero di non aver potuto fare di più.»

Martina, inoltre, tiene a precisare che nessuno ha mai imposto a lei o ad altri di indossare abiti particolari o di utilizzare il velo per coprire il capo, né tanto meno di pregare o di non indossare le catenine con la croce: ciascuno era libero di esprimere se stesso, senza restrizione alcuna.

«Può sembrare una frase fatta ma, da quando sono tornata da questo viaggio, ho iniziato ad apprezzare realmente tutto ciò che ho; mi sono resa conto che noi tendiamo a lamentarci per qualsiasi cosa, perché non abbiamo l’ultimo modello di smartphone o la t-shirt griffata, ma in realtà al mondo ci sono persone che non hanno veramente nulla e sorridono lo stesso. E’ stato un viaggio bellissimo e auguro a tutti di vivere un’esperienza del genere, perché è vero che inizialmente c’è la paura di vivere in un posto diverso, lontano da casa, con una diversa cultura e diverse tradizioni, ma ciò che mi ha lasciato questo viaggio è un bagaglio che porterò sempre con me, ovunque andrò.»

Martina a novembre sosterrà l’esame di stato che le permetterà di esercitare la professione dell’infermiera, per la quale ha studiato. La sua tesi di laurea, ispirata alle lezioni tenute dalla sua professoressa di antropologia, ha come argomento le mutilazioni genitali femminili.

«Nel corso di quest’esperienza ho visto tantissimi bambini mutilati e quest’argomento mi ha toccata particolarmente. Si trattava, però, esclusivamente di bambini maschi, perché purtroppo ho avuto a che fare con pochissime bambine, poiché la loro cultura prevede che le donne debbano stare dentro casa. E’ per questo che ho scelto quest’argomento per la mia tesi di laurea, per esplorare la condizione delle donne che, purtroppo, non sono ancora tutelate come avviene da noi. Dopo la laurea, spero di riuscire a tornare in Africa per vivere nuovamente quest’esperienza che, lo ribadisco, consiglio veramente a tutti.»

 

Exit mobile version