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Intimidazioni ai Sindaci ogliastrini, una serata ieri a Cardedu. Deiana: «Segno di una sconfitta dilatata nel tempo»

Foto: Facebook, profilo Emiliano Deiana.

“Ieri sera sono stato a Cardedu a un’assemblea pubblica dopo le intimidazioni subite dai sindaci di Cardedu, appunto, e di Girasole. Sono andato perché in certi casi occorre metterci il ‘fisico’, la presenza, la plasticità della presenza: erano presenti numerosi sindaci ed ex sindaci ogliastrini, era presente l’Assessore regionale degli enti locali Quirico Sanna e il Direttore Generale Umberto Oppus. Nel mio intervento ho detto poche cose, certamente banali, ma erano quelle che sentivo di dire”.

Sono le parole, affidate ai social con qualche scatto della serata, di Emiliano Deiana, Presidente Anci Sardegna.

“Il fenomeno, anche se viviamo in un tempo di cancellazione della memoria, non è un fenomeno ‘nuovo’ né più intenso di altri periodi: ricorso sempre la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 quando i sindaci, in particolare quelli di alcune aree della Sardegna, erano costantemente oggetto di attentati dinamitardi o di veri e propri agguati. Questa, certamente, non è una consolazione, anzi: è il segno di una sconfitta dilatata nel tempo. Gli attentati non li fanno i ministri dell’Interno né i presidenti della Regione: non li fa Salvini o Solinas oggi (è un paradosso!), ma non li facevano ieri nemmeno Minniti e Pigliaru, né Alfano ecc. Di certo, però, dai livelli superiori dello Stato il compito dei sindaci non è mai stato agevolato perché se è vero come è vero che gli attentati li fanno pochi criminali, con una molteplicità di modalità che ci fanno dire che non si tratta di un fenomeno unitario, altrettanto vero è che gli altri organi dello stato non hanno aiutato gli amministratori a svolgere al meglio il loro compito, a togliere – in una parola – l’area del consenso contro le amministrazioni che si allarga nei momenti di crisi, di difficoltà economica, di tensioni sociali (e non sto affatto dicendo che chi compie attentati e intimidazioni vive nel disagio sociale, anzi: spesso non ha proprio nessun disagio apparente, ma si cela meglio dentro le sofferenze delle comunità)”.

E continua: “Se le amministrazioni hanno strumenti operativi, personale, risorse non si evita che un delinquente possa comunque intimidire o attentare. Significa che quell’atto rimane – non meno pericoloso – ma isolato. L’autore non acquista ‘prestigio sociale’, la comunità non pensa ‘tanto qualcosa avrà fatto’. Anci Sardegna chiede poche cose. Alcune immediate come il rafforzamento dei presidi dei carabinieri e della polizia nelle aree a maggior rischio e la riapertura dove sono state chiuse (penso, per essere molto chiaro ad alcune aree del Goceano, ad esempio). La seconda richiesta attiene alla rivisitazione e ampliamento dei cd Patti per la Sicurezza che vanno estesi dalle città ai paesi. Quei Patti non possono fermarsi all’aumento degli organici delle forze di polizia o alla videosorveglianza ma devono entrare nel ‘ventre molle delle comunità’. Serve, sul modello dei PON sicurezza dai quali la Sardegna è stata esclusa nel ciclo di programmazione 2014-2020, investire in maniera prepotente sulle nuove generazioni con interventi sull’istruzione, la cultura, la cultura della legalità, lo sport, la musica, gli scambi con altre realtà italiane ed europee”.

Poi conclude: “A Matteo e a Gianluca non diciamo solo ‘andate avanti’. Diciamo in modo più sincero: ‘andiamo avanti’. Perché solo dall’unità delle istituzioni se ne può uscire. Senza ridurre L’Unità istituzionale con l’unanimismo politico ma dicendo che comuni, Regione e Stato sono impegnati a rimuovere e prosciugare il ‘brodo’ nel quale si alimenta la violenza di pochi che uccide le nostre comunità prima di spaventare i sindaci, gli amministratori e i dipendenti dei comuni”.

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