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L’artista ogliastrino Davide Careddu (Garé) si racconta: una vita trascorsa in mezzo all’arte

L’artista ogliastrino Davide Careddu (Garé) si racconta, dagli esordi fino ad ora che la sua vita si svolge costantemente in mezzo all’arte.

«Diciamo che capire di voler vivere di arte non è una cosa semplice. Soprattutto al giorno d’oggi, con la crisi sociale ed economica che stiamo attraversando. Fare questa scelta richiede una grande dose di coraggio, ma anche di incoscienza. Perché è un po’ come buttarsi in un grande, un enorme “boh?”» dichiara Careddu. «Posso dire che la passione e la necessità di esprimermi attraverso l’arte sono qualcosa che ho da sempre, da quando sono nato. Per molto tempo, l’ho fatto senza nemmeno esserne cosciente. La coscienza di quel che fai e di ciò che hai intorno è qualcosa che si acquisisce nel tempo. Non esiste un momento esatto nel quale ho preso questa decisione. È più il risultato di una serie di decisioni prese, coscientemente o meno, e di esperienze e circostanze che la vita mi ha presentato. A questo va aggiunta la personalità di una persona, la sua indole, che nel mio caso definirei un po’ incasinata e troppo spesso tormentata. Dicono che questo sia buono ai fini della produzione artistica, ma posso assicurare sia uno schifo per la maggior parte degli altri aspetti della vita».

Sin da piccolo sente il richiamo dell’arte ma sceglie altre strade, come il Pedagogico ai tempi delle scuole superiori e la Facoltà di Beni Culturali successivamente. Le circostanze: ecco ciò che non ha permesso a Careddu di prendere le strade giuste.

«Nel frattempo ho continuato a disegnare per conto mio, sperimentando e studiando da autodidatta. Mi sono addentrato sempre di più nelle varie sfaccettature del disegno sviluppando un’autocritica molto affilata che in più occasioni si è rivelata controproducente, ma che mi ha anche permesso di non accontentarmi mai del risultato. Ho affinato sempre di più le tecniche ottenendo, di conseguenza, risultati sempre migliori. Poi, un giorno tra tanti, mentre frequentavo il secondo anno di Università, sentii qualcuno che parlava di progetto ERASMUS».

Foto di Juan José Rueda Rodriguez

È da un po’ che non è felice, che si chiede cosa possa fare per migliorare questa sua condizione. E si accende la lampadina, questa è l’occasione: «L’occasione per cambiare, per smuovere l’acqua stagnante in cui stavo nuotando. Avevo bisogno di cambiare aria, di rigenerarmi».

Destinazione, Spagna, a Murcia: «Lì ho conosciuto uno scultore che si dedicava a creare immagini sacre, non era un campo che mi stuzzicava particolarmente l’attenzione, ma era senza ombra di dubbio era la cosa più vicina all’arte in cui mi fossi mai imbattuto. Ho iniziato a frequentare il suo laboratorio assiduamente e, dopo aver insistito per 4 mesi affinché mi facesse provare a modellare qualcosa, sono riuscito a convincerlo. L’uomo mi ha dato un pezzo di argilla, dei pali per modellare e la copia di un piede di cristo realizzata da lui e mi ha detto: “Fammi vedere cosa sai fare”. Da sempre, quando guardavo una scultura, tra me e me pensavo “Sento che saprei realizzarla, che non è così difficile”. Riuscivo a scomporre ogni parte di quella scultura e creare un database nella mia testa con tutte le immagini possibili scattate da ogni angolatura possibile, potevo prendere e combinarle a mio piacimento. Ma fino a quel momento tutto si era fermato alla sola teoria. Effettivamente, quando poi ho provato a riprodurre il piede che mi aveva dato lo scultore, sono riuscito a riprodurlo alla perfezione, praticamente identico. Anzi, lo scultore rimase sorpreso nel vedere che alcune parti erano persino migliorate rispetto alla copia originale».

Lo scultore è entusiasta, non crede sia la prima volta che Careddu modella un pezzo d’argilla. L’ogliastrino, d’altro canto, sente di dover provare a fare di meglio.

«In ogni caso la cosa mi ha dato una carica incredibile: finalmente mi ero messo alla prova e l’avevo superata alla grande. Questo senza parlare delle sensazioni, le emozioni che avevo sentito nel maneggiare quel pezzo di argilla. Sentivo una sensazione di pienezza e leggerezza allo stesso tempo. Felicità, adrenalina, pace, armonia. Penso che questo sia stato un momento cruciale nella mia vita. Per la prima volta ho sentito di sapere realmente cosa volessi fare, chi e cosa volessi essere, anche se poi ci vollero ancora diversi anni perché arrivassi a credere e a vivere a pieno questo tipo di vita. Da lì, comunque, iniziò tutto. Ormai mi era entrato in testa, non c’era marcia indietro. Dopo aver provato quelle sensazioni non potevo più tornare indietro».

Finito l’Erasmus, lascia l’Università e parte per la Spagna, alla ricerca di se stesso. Prima, però, scopre di un concorso di arte indetto dall’ERSU. Partecipa presentando due piccole installazioni fatte in due settimane, di fretta, e vince il primo e il secondo premio della sua categoria, arti plastiche e figurative.

«Si è trattato di un altro momento importante, il primo riconoscimento ufficiale» spiega. Quando arriva in Spagna fa molti lavoretti per mantenersi, nel frattempo ottiene, frequentando una scuola di scultura, il titolo di “tecnico di livello superiore nelle arti applicate alla scultura”.

Continua a considerarsi, tuttavia, autodidatta anche per quanto riguarda le discipline scultoree.

«Nel frattempo sono arrivati altri concorsi e altri riconoscimenti, esposizioni, commissioni, ecc. Ormai c’ero e ci sono dentro fino al collo, però adesso l’acqua intorno a me è tutt’altro che stagnante».

Quando gli viene domandato se ci sia un’opera cui è più affezionato, tentenna.

«È come chiedere a un genitore a quale figlio voglia più bene» spiega. «Come ho detto prima mi piace sperimentare, e questo implica un cambio continuo. A ogni cambio corrisponde una fase della mia produzione, un periodo in cui mi metto a lavorare in modo maniacale su un tipo di pittura o un tipo di scultura. Va aggiunto che con il mio lavoro mi piace abbracciare diversi stili. Non mi piace rinchiudermi in una modo di comunicare statico e sempre uguale. Penso che il patrimonio artistico e culturale mondiale del passato e del presente sia un ottimo spunto di riflessione e di partenza per creare nuovi linguaggi artistici, sempre più efficaci e che permettono di affrontare qualsiasi tipo di tematica. Anche per questo le mie opere spaziano su differenti campi e stili, ed è questo un motivo in più per il quale mi trovo in difficoltà nel momento di dover scegliere la mia opera preferita. Posso dire che attualmente sono molto preso da una serie di sculture in acciaio che sto realizzando e che sono una fusione tra fisica e arte. Si tratta di sculture mobili che si basano su dei principi di equilibrio e studi delle forze. Ma non posso definire quale sia la mia opera preferita o a cui sia più affezionato».

«È un bel casino» ammette quando si passa alla successiva domanda, ossia “Come definiresti il tuo stile?”. «Prima ti spiegavo come sia attratto da diversi stili e forme di linguaggio» continua. «A questo va aggiunto che lavoro praticamente ogni tipo di materiale. Eseguo sculture in pietra, legno, acciaio, terracotta, gesso, resine… queste ultime evito di utilizzarle in realtà, a causa del forte impatto ambientale. Eseguo, poi, lavori a partire di materiale riciclato. Lavori che vanno dalle sculture alle installazioni, fino agli articoli da arredamento. Mi dedico poi alla realizzazione di murales, pitture di vario genere e illustrazioni, principalmente con penna biro. Le tematiche affrontate sono svariate, dai temi sociali e che quindi interessano tutti, a temi più intimi e frutto di riflessioni o emozioni personali. Potrei fare una divisione tra i temi che affronto: da un lato temi appunto sociali e di protesta in molti casi, dall’altro temi autobiografici e introspettivi. Tra le mie più grandi influenze, ci sono ovviamente i grandi maestri del passato (Leonardo, Michelangelo, Caravaggio,ecc.) ma non mancano anche influenze più giovani come Picasso o Dalì. Il surrealismo mi chiama molto l’attenzione, ma anche il dadaismo, il costruttivismo russo e altri. Non posso non citare tra i miei maestri anche Fabrizio de André e Giorgio Gaber. Anche se in modo diverso dagli esempi prima elencati, anche loro sono tra i principali responsabili del mio percorso artistico. Infatti, entrambi sono stati spunti di riflessione immancabili durante la mia vita. Mi hanno aiutato a vedere la realtà sempre da diversi punti di vista, analizzandola razionalmente ma anche umanamente, sensibilmente. E questo si riscontra poi nella mia produzione artistica, tanto in quella a sfondo sociale quanto in quella di tipo autobiografico».

Non definisce il suo stile, anche perché non ama l’idea di chiudersi nessuna porta: « Le persone siamo parte della natura e la natura è in continua evoluzione. Allo stesso modo lo sono io e voglio sentirmi libero di poter fare quello che voglio, quello che la mia evoluzione interiore mi chieda di fare».

Ma la Spagna? Che ruolo ha avuto nel percorso del giovane artista?

«Prima ho anticipato quando e come la Spagna è entrata a far parte della mia vita. E in realtà c’è poco da aggiungere. Direi che è stata molto importante per me: a parte aver trovato gente stupenda che mi ha accolto come se realmente fossi uno in più della famiglia (e mi riferisco in particolare a quelli che io chiamo “i miei genitori adottivi spagnoli”, Maria e Manolo), la Spagna ha segnato una tappa importante della mia vita. Ho avuto tempo e modo di ritrovare me stesso, forse grazie alla lontananza dalla realtà nella quale sono cresciuto. A volte, per capire chi sei, hai bisogno di uscire dai tuoi vestiti di tutti i giorni, uscire dalla tua vita e iniziare da capo nudo o, esagerando, in mutande. Devi metterti alla prova. Con me perlomeno ha funzionato. Lo definirei un periodo di fuoco. Uno dei più intensi ed esagerati della mia vita».

E cosa bolle in pentola?

«Molte cose» dice. «Esposizioni, concorsi, altre esposizioni. Un po’ di tutto, soprattutto murales e sculture. In particolar modo ora mi sto occupando di quella serie di sculture in acciaio di cui ho parlato prima (Sculture mobili): sto preparando una serie completa e presto ho in programma di renderla pubblica. E vedremo se otterranno, oltre alla mia, anche  la simpatia del pubblico. Io le definisco “giochi per adulti”: non rappresentano niente di scabroso, ma si tratta di opere delicatissime, basate su degli equilibri sottilissimi. Sono delle opere che vogliono rimarcare il forte legame tra arte e scienza e nel farlo vogliono stupire lo spettatore catturandolo con il loro ballare armonioso. Da non molto ho iniziato anche a tatuare e per il momento sembra promettere bene la cosa. Oltre a questo, più a livello di passione, mi dedico alla musica. Qui in Spagna canto e scrivo i testi delle canzoni che stiamo creando con un gruppo musicale che abbiamo montato e, per conto mio, compongo canzoni più a livello personale, diciamo, come cantautore. Per il momento si tratta più di un hobby, poi si vedrà!»

Davide Careddu (Garé) si può trovare sui social: lì è possibile ammirare le sue opere.

 

 

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