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La Leggenda del Grande Torino e il suo tragico destino settant’anni fa

La sera del 4 maggio del 1949 il tempo è avverso: una pioggia fitta, raffiche intense di vento, e una pessima visibilità. Intorno alle 17.00 un trimotore Fiat G.212 delle Avio Linee Italiane sta effettuando le manovre di atterraggio.

A bordo oltre l’equipaggio aereo, la squadra di calcio del Torino composta dai dirigenti, dallo staff tecnico e dai giocatori, i giornalisti al seguito. I “Granata” stanno facendo ritorno nel capoluogo piemontese da un’amichevole disputata in Portogallo con il Benfica.

Non giungeranno mai a destinazione, perderanno tutti la vita nello schianto dell’aereo sul terrapieno della basilica di Superga.

Un tragico destino che mise fine al Grande Torino, la squadra di club più forte dell’epoca. Oltre alle vittorie in campo, capace di vincere cinque scudetti consecutivi e stabilire record irripetibili, la squadra granata in quegli anni era una luce in grado di illuminare la strada all’Italia per potersi rialzare, reduce dalla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale. Una nazione in ginocchio, che si aggrappava ai suoi campioni e simboli dello sport che la onoravano a livello internazionale e riportavano l’entusiasmo tra la gente: come Bartali e Coppi nel ciclismo, la Ferrari e Nuvolari nell’automobilismo, e il Torino nel calcio.

Vittorio Pozzo, il commissario tecnico della Nazionale, vincitore dei Mondiali del ’34 e del ’38, puntava sui giocatori granata per il Mondiale che si sarebbe disputato il Brasile nel ’50. Infatti nel ’47 nella vittoriosa sfida contro l’Ungheria, disputata a Torino, gran parte della Nazionale Azzurra era composta da giocatori granata.

Sarebbe stata un’Italia difficile da battere in quel Mondiale di calcio, un evento atteso da tutte le nazioni, con gli azzurri campioni in carica dal titolo iridato del ’38, visto le edizioni successive annullate a causa della guerra.

In Brasile, a causa della tragedia di Superga, la selezione italiana sarebbe arrivata su una nave dopo un lungo viaggio in mare con i giocatori in pessima condizione. L’amichevole disputata a Lisbona contro il Benfica era un omaggio al capitano della squadra e del Portogallo Francisco Ferreira, che aveva invitato il Torino dopo l’amichevole tra nazionali nella quale aveva conosciuto Valentino Mazzola, capitano del Grande Torino, vista la grande fama.

Ancora oggi nell’immaginario degli appassionati di calcio fa venire i brividi lo squillo del trombettiere del Filadelfia capace di scatenare la “furia” agonistica e calcistica degli undici granata, così come il gesto di sollevarsi le maniche del capitano Mazzola, capace di cambiare gli eventi di una partita. Una squadra quasi imbattibile in partite ufficiali, avrebbe continuato a fare incetta di trofei scrivendo pagine di storia. Il destino è riuscita a fermarla all’apice della sua forza, rendendo il Grande Torino una squadra di calcio immortale e le sue gesta consegnandole alla leggenda.

Trentuno le vittime totali della tragedia di quella sera di settant’anni fa, Tomà per infortunio e il secondo portiere Gandolfi si salvarono perché non parteciparono alla trasferta di Lisbona.

Giocatori: Bacigalupo, A. Ballarin, D. Ballarin, Bongiorni, Castigliano, Fadini, Gabetto, Revelli, Grava, Grezar, Loik , Maroso, Martelli, Mazzola, Menti, Operto, Ossola, Rigamonti, Schubert.

Dirigenti: Agnisetta, Cavalleri, Bonaiuti. Allenatori: Erbstein, Lievesley, Cortina.

Giornalisti: Casalbore, Tosatti, Cavallero.

Equipaggio: Meroni, Bianciardi, D’Incà, Pangrazzi.

 

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