Il progresso nel campo della medicina in Occidente sta allungando sempre più l’aspettativa di vita di uomini e donne. Tuttavia abbiamo un po’ tutti la malsana abitudine di ricorrere ai farmaci anche per un banale raffreddore o un po’ di mal di gola, abbassando così le difese immunitarie. Forse sarebbe meglio se ogni tanto ci ricordassimo dei cari e vecchi “rimedi della nonna” per curare i malanni più comuni.
In Sardegna esiste una tradizione millenaria in questo senso, tramandata dalle madri ai propri figli e che in alcuni centri della nostra Isola resiste ancora. Secondo quanto riportato dal sito Naturopatia Sardegna, per il raffreddore nei bambini si usava fare fumigazioni a base di zucchero, mentre con gli adulti le fumigazioni erano a base di vino, acqua bollente, morchia del caffè o arancia. Per abbassare la febbre si adoperavano sciroppi di gramigna, radici di erbe e genziana.
A chi riportava delle piccole ferite veniva detto di urinarci sopra (qualcuno lo fa anche oggi) o di usare un po’ di aceto; ma a volte venivano utilizzati anche il pomodoro e addirittura lo sterco di cavallo. Il fuoco di Sant’Antonio veniva trattato con un unguento a caldo con sapa e olio d’oliva, ma si usava anche un metodo più “invasivo” che, solo a pensarci, mette i brividi: scintille sulla ferita, prodotte dalla pietra focaia. Per combattere il torcicollo si massaggiava la parte dolorante con un po’ di camomilla e della ruta tiepidi precedentemente fatti soffriggere nell’olio d’oliva. Le scottature lievi venivano trattate con l’applicazione sulla parte interessata di miele, acqua e sale, olio di lentischio e persino di una patata cruda.
Tutti questi rimedi erano sempre accompagnati da preghiere; chiedere aiuto a Dio era per molti la soluzione più efficace. Certo, non sempre si guariva e al giorno d’oggi molta gente diffida di queste pratiche, preferendo i farmaci classici. Ma, al contrario, alcuni rimedi “della nonna”per guarire o alleviare piccoli malanni sono forse molto più efficaci.