ogliastra.vistanet.it

Immigrazione, migrazione e accoglienza in Ogliastra: un dialogo con Roberto Uda, sindaco di Loceri e membro del CAL

Roberto Uda

Classe 1968, Robertino Uda dal 2015 riveste il ruolo di Sindaco del Comune di Loceri, dopo una laurea in Lettere, un Master in Gestione delle Risorse Umane e un ulteriore perfezionamento con la qualifica di Operatore della Comunicazione Culturale. Assieme all’incarico di Primo cittadino, vi è anche la neo elezione come presidente dell’Unione dei Comuni d’Ogliastra, e la nomina in quanto membro dell’ufficio di presidenza del CAL ( ovvero il Consiglio delle Autonomie Locali, organo istituzionale previsto dall’articolo 123 della Costituzione).

Tra il 16 e il 17 maggio, insieme ai sindaci di Sarroch e Siamaggiore e ad una rappresentanza dell’Università di Cagliari, Uda ha avuto modo di partecipare a Bruxelles alla presentazione di un’indagine svolta tra i sindaci sardi, in merito alla questione dell’immigrazione, delle migrazioni più in generale e, in particolare modo, delle migrazioni climatiche.

In queste giornate l’Ogliastra è stata fortemente scossa – e divisa – dagli ultimi fatti di cronaca e dalle ultime politiche attuate sull’immigrazione: chiudiamo i porti, apriamo i porti; accogliamo, accogliamo ma con progettazione, non accogliamo. La questione è da tempo ben radicata nei dibattiti isolani non solo ufficiali, ma anche informali: sicuramente la polemica sull’immigrazione ha riportato la Politica – intesa come discussione delle tematiche inerenti la cittadinanza – nelle tavole di tutti, diventando tavolo di discussione in moltissimi luoghi, fossero essi adibiti o meno al tema. L’intento dell’indagine presentata a Bruxelles, svolta nell’ambito del progetto CLISEL (acronimo inglese di “Sicurezza climatica con le autorità locali”) e finanziata dall’Unione Europea, era quello di analizzare il ruolo dei Comuni nella governance dell’immigrazione e l’influenza del clima quale fattore di migrazioni. In particolar modo, è stata selezionata la Sardegna come caso-pilota per capire quali siano le esigenze e le posizioni dei 377 Comuni sardi.

«Lo scopo di tale progetto – spiega Uda – consisteva nell’illustrare il questionario presentato ai sindaci e far riconoscere, all’interno della legislazione europea, i cambiamenti climatici tra i motivi della migrazione, e di conseguenza inserire tale motivazione come valida richiesta di asilo: se il mio luogo d’origine è arido e la desertificazione è forte, quello non diventa più un luogo adatto per poter vivere. Ciò che è emerso è che, in generale, la migrazione non viene percepita come minatoria nei confronti della sicurezza dei cittadini; non è un problema per i sindaci sardi l’integrazione multiculturale, mentre invece risulta essere problematica la gestione di questi flussi. Lo stallo maggiore, sta nella scarsità di risorse sui servizi sociali per popolazione locale e immigrati: possiamo attingere allo stesso fondo, ma questo risulta essere scarso, di conseguenza il tutto a volte pesa sul bilancio dei nostri piccoli Comuni».

Chiudere le frontiere è una soluzione poco condivisa: solamente il 20% dei sindaci, in base ai dati raccolti dall’indagine, sostiene il fatto che questa possa essere una soluzione molto o abbastanza utile. Predilette sono invece le soluzioni di politiche che siano a più livelli e quindi con più figure che collaborano tra di loro.

«Governance a multilivello potrebbero essere la soluzione alle problematiche legate all’immigrazione – prosegue sempre Uda – delle politiche quindi dove anche i Comuni vengono chiamati a decidere e governare il fenomeno, non come protagonisti ma attraverso decisioni concordate con lo Stato e l’Unione Europea. Chiudere le persone che arrivano in Sardegna in grandi ghetti non va bene, così come è errato non affiancarli nell’integrazione: ciò che sarebbe ideale, è sicuramente un modello di accoglienza diffusa, che permetta l’inserimento attivo nei comuni ma con bassi numeri, quindi con un ridotto e proporzionato numero di persone da accogliere: l’ingresso di 100 persone all’interno di un comune di 300 anime, porta non solo a uno stravolgimento di quella che era la visuale del paesino, ma anche a uno sconvolgimento delle abitudini delle persone autoctone, e di conseguenza allo sviluppo di sentimenti negativi, poco aperti all’accoglienza e molto più dubbiosi sulla presenza di così tante persone, molto spesso inoccupate».

In Ogliastra, secondo i dati riportati all’interno del Piano annuale Immigrazione 2018 della Regione Sardegna, vi sono in totale 1200 persone non italiane residenti. Sei sono invece i centri di accoglienza per minori e adulti dislocati nella ex provincia, tra Lanusei, Ilbono, Girasole e Tertenia.

«I numeri sono adeguati – sostiene il primo cittadino, in quanto membro del CAL – non sono numeri grandissimi. Per quanto riguarda le strutture ritengo che siano state gestite in certi casi bene. Al tempo stesso però ritengo che l’esperienza dei centri sia da superare, perché non porta ad una effettiva integrazione: genera separazione e il fastidioso equivoco, alcune – ma non sempre – volte verificato, che porta molti a pensare che pochi privati si possano arricchire. Tali incomprensioni non vanno bene, bisognerebbe tentare con altre metodologie poiché al di là dei buoni esempi, come la struttura Cortemalis, che puntualmente organizza eventi e inoltre offre lavoro a persone del luogo, vi sono dei casi in cui non vi è la piena integrazione delle persone. Nel momento in cui non avverti problemi di sicurezza, incompatibilità culturali e le persone sono ben inserite nella comunità, la popolazione accetta.»

Quale sia la ricetta perfetta per l’integrazione, ancora non è ben chiaro, ma le idee per il Sindaco Uda sono tante, e le basi dalle quali partire non si discostano dalla sua esperienza personale e professionale: l’istruzione e il sociale.

«Una maggiore integrazione la raggiungi, per esempio, attraverso la scuola con progetti di inserimento, oppure operando sul sociale, per esempio includendo i ragazzi che arrivano nei nostri paesi, nelle rispettive società sportive. Sono azioni che sono state già avviate il alcuni luoghi, ma bisognerebbe potenziarle. Altro fattore che credo sia fondamentale nella piena accettazione, è il fatto che la popolazione locale abbia maggiori informazioni e conoscenze sulle persone che arrivano, sulla loro cultura, sulle loro tradizioni: quando parliamo di noi ci distinguiamo, diciamo che siamo bariesi piuttosto che loceresi, ma quando parliamo delle persone che arrivano da oltremare, le definiamo come una massa indistinta che non racconta nulla, se non la propria condizione politico-giuridica. Conoscersi, aiuta, elimina le barriere, ci fa sentire più vicini nonostante la provenienza geograficamente distante, ci fa capire che infondo non siamo così incompatibili».

«È importante e fondamentale accogliere – conclude Uda – è uno dei principi su cui si fondano la civiltà e la tolleranza. Bisogna continuare ad accogliere ma è necessario farlo attraverso progetti, discussioni sul tema e dibattiti. Fino ad oggi l’aver affrontato male il tema, ha scaricato delle difficoltà profonde, ma questo anche perché, come sostiene il giornalista e saggista italiano Federico Rampini “è facile parlare di integrazione quando poi queste persone sono miei camerieri o mie badanti”. L’integrazione non deve essere scaricata sulla popolazione: quest’ultima deve essere equilibrata, moderata, ed educata all’immigrazione, alle culture nostrane e alle ulteriori abitudini. Il problema legato all’accoglienza, esiste, sarebbe ipocrita negarlo, ma esiste perché abitudini diverse creano disagio, ed essa non viene attuata se allo stesso tempo non viene favorita l’integrazione. Sarebbe bello, inoltre, anche se le comunità straniere si ponessero in discussione ed argomentassero insieme a noi le problematiche che ci sono: gli estremismi vanno condannati con forza, così come la rivendicazione dei diritti della persona».

Exit mobile version