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(FOTO) Claudia Aru e le sue tzie. A Loceri il set fotografico per promuovere il suo spettacolo estivo

Claudia Aru e le sue Tzie

Claudia Aru, trentasettenne campidanese, ha un progetto: cantare e raccontare la nostra Sardegna, mettere l’accento su pregi e peculiarità di quest’isola così preziosa, così particolare, raccontarla a 360 gradi. Claudia non canta musica folk ma il campidanese usato in atmosfere blues e swing.

Per promuovere il suo spettacolo estivo, il “Claudia e le sue tzie”, ha organizzato, nella nostra Ogliastra, un set fotografico che ha visto la luce grazie al fotografo Maurizio Olla.

Cos’hanno queste foto di particolare? Modelle per un giorno, accanto a Claudia, le anziane di Loceri. Ma partiamo dal concetto chiave, quello di tzie. Chi sono le tzie?

«Esiste, in Sardegna, un concetto di comunità che si intreccia con quello di famiglia. La definizione di “tzia” non necessariamente implica un vincolo parentale, ma è comunque ampia e interessante. “Tzia” è qualunque signora che ha oltrepassato i 65-70 anni,» racconta Claudia «che si conosce in prima persona o tramite la famiglia. Le tzie sono quelle che ti amano e ti stimano, certo, ma sono anche acide, un po’ “tzaccate”. Sono quelle che ti hanno bucato il pallone almeno una volta nella vita, che ti fanno spostare la macchina anche se ci passa un treno. Sono quelle che ti passano i cinquanta euro senza farsi vedere, quasi come un pusher. Sono quelle che se sei ingrassata te lo dicono – e persino con una certa virulenza – e che se ancora non ti sei sposata ti fanno notare che non sarà facile a quest’età trovare marito. “Là che non ti vuole nessuno”, ti dicono. E lo possono fare, si possono arrogare il diritto di intrufolarsi nella tua vita perché loro rappresentano la famiglia, loro sono all’interno della tua famiglia. Lo trovo un concetto molto dolce, ecco perché ho deciso di incentrare la narrazione su tutto questo. Nei miei spettacoli, che uniscono sempre la musica al teatro, ad esempio, c’è tzia Pinuccia, quella che cucina perennemente e che ha, come unica manifestazione d’affetto, l’invito a mangiare sempre. Non è dolce, nel suo “Pappa!”, né gentile. Però ti sta dimostrando tutto il suo amore. Un’altra cosa che racconto è il clima delle processioni: insomma, c’è sempre una tzia che lotta e combatte strenuamente per avere l’ambitissimo ruolo della “portatrice dello stendardo”».

C’è poi il versante legato ai funerali, ricorda Claudia. «Una cosa molto dolce è quella per cui quando muore una persona gli altri, quelli legati alla famiglia, preparano da mangiare. Racchiude una dolcezza e una sensibilità uniche. Certo, ci sono anche aspetti che piacciono di meno,» scherza la cantante «quella legata al pettegolezzo per esempio. Io dico sempre che loro non si guardano in giro ma aggiornano il loro database ed è così. Non si può negare che sia bellissimo che quando preparano i fatti fritti facciano l’impasto per tutto il vicinato. Ecco, io cerco di fissare queste cose bellissime della nostra terra, i racconti che hanno protagoniste le nostre tzie, quelle che sono un po’ il cuore pulsante di quest’isola.»

Loceri come set fotografico, ma come mai? Claudia Aru ci racconta il perché di questa scelta di location.

«Ero a Loceri per uno spettacolo, l’anno scorso. Era previsto per le 20:30 ma si stava facendo un po’ tardi. Nell’anfiteatro dove mi dovevo esibire, un bel gruppo di signore in “fardetta”, tutte sedute e spazientite. “Ma quando inizia questa cosa? Io devo andare a dormire, domattina alle sei devo andare a dare da mangiare alle galline”. Insomma, non erano per nulla contente di questo ritardo. Nell’attesa che iniziasse lo spettacolo, ho dialogato con loro e me ne sono innamorata. Sarà l’abito caratteristico sardo che in Ogliastra ancora si può ammirare – mocassini o scarpe aperte, gonna lunga fino al polpaccio, camicetta e l’immancabile crocchia – o la loro figura così particolare, comunque ne sono rimasta molto affascinata. Ecco perché quando ho deciso di abbinare al lancio del mio spettacolo estivo un set fotografico simile, ho pensato a loro. Mi sono messa in contatto con Ornella Casula – che già mi aveva supportato per lo spettacolo dell’anno scorso – e ho chiesto di reclutare queste signore. Con mia grande sorpresa, hanno detto subito di sì. Non è stato nemmeno faticoso, hanno accettato senza troppi problemi. Una delle cose più belle era il contrasto tra me, che ho una figura molto aggressiva, e loro così tradizionali. Io mi sento molto donna in fardetta, ma sono anche contenta di quella che sono. Una delle cose che amo comunicare è che la Sardegna è in entrambe le immagini. Si può essere attaccati alla propria terra anche essendo quello che si vuole, andando oltre le apparenze».

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Claudia Aru gira il mondo, porta i suoi spettacoli in mezza Europa e in Asia, ma – e lo dice senza nessuna remora – è in Sardegna che ha trovato la felicità.

«Io ho imparato il sardo da sola, da grande. A casa mia si parlava italiano, mia madre ha fatto l’insegnante per più di quarant’anni. Io mi sono laureata in Arte e facevo anche la curatrice di musei. Poi la svolta… A un certo punto è nata in me la consapevolezza della bellezza della nostra terra, della particolarità della nostra lingua e ho deciso di dedicarmi a questo. Volevo fare un percorso particolare partendo da casa mia, dalle mie radici. Ecco perché per esempio canto in campidanese, sfidando la regola che vuole il logudorese per il canto sardo. E al di là delle critiche su qualunque cosa – come sulla pronuncia e su certe parole che scelgo, che mi vengono contestate da alcuni linguisti –. A me piace preservare questa lingua che sta andando a scomparire. Io canto quella che sono. Canto quello che vivo. Canto il mio rione. Canto con una musica moderna tradizioni millenarie».

Ora è in pianta stabile a Pirri. «La quantità di bellezza che ricevo qui è inimmaginabile, e lo capisco proprio perché ho girato il mondo».

In uno spettacolo in Belgio ha cantato e raccontato in inglese la Sardegna e, spiega con un certo orgoglio, ben tre persone hanno comprato il biglietto per l’isola durante lo spettacolo.

Nei suoi spettacoli non si paga la Siae, inoltre si fa da manager da sola. Combatte la sua battaglia, che talvolta assume anche delle sfumature politiche.

«Nel mio spettacolo c’è ovviamente l’ironia, la parte divertente, ma c’è anche la gratitudine e l’amore per questo modo che abbiamo noi sardi di vivere, tutti in famiglia».

Chiude con un aneddoto: «La nostra è una lingua fantastica, ricca di peculiarità, ad esempio. A me piace ricordare una mia canzone in particolare, la “Tasinanta”. Il “tasinanta” è una parola che assurge al ruolo di verbo, di complemento, di aggettivo, di nome. Non importa dove io sia, se dico “tasinanta” chi è davanti a me capirà cosa voglio dire. L’ho fatta cantare a tutti, questa canzone. Se non è linguaggio universale questo!»

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