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La fabbrica delle bombe di Domusnovas dovrebbe trasferirsi a Riad. Ecco i veri motivi

Foto Avvenire

Norvegia, Olanda e Germania hanno bloccato le esportazioni di armi e munizioni verso gli Emirati Arabi: la Rwm aveva ripiegato così sullo stabilimento di Domusnovas, da cui ancora nei giorni scorsi è partito un nuovo carico di ordigni. Dall’interno dell’azienda, intanto, si moltiplicano le accuse rivolte in particolare ai media, specie dopo il recente reportage del “New York Times“, che «con le loro inchieste rischiano di farci perdere il lavoro».

In verità, Rwm sta pensando da ben prima che scoppiassero le polemiche a una conveniente delocalizzazione. A quanto risulta ad Avvenire, da tempo il gruppo Rheinmetall stava pensando di mettere un piede laddove gli affari sono migliori e i costi di produzione più bassi.

Nel marzo del 2016 la multinazionale tedesca, appoggiandosi alla controllata sudafricana Rheinmetall Denel Munition (Rdm) e d’intesa con la Saudi Military Industries Corporation (Samic), ha inaugurato a sud di Riad uno stabilimento nel quale vengono prodotte e assemblate bombe da artiglieria e ordigni aerei del tipo attualmente commissionato allo stabilimento sardo. Un investimento con un suo specifico peso politico: all’inaugurazione erano presenti il principe ereditario Mohammed bin Salman bin Abdelaziz e il presidente sudafricano Jacob Zuma. La fabbrica saudita, dove attualmente lavorano 130 addetti, ha però necessità di un periodo di rodaggio, perciò Domusnovas resterà ancora per qualche tempo il principale sito di approvvigionamento tanto che Rwm Italia ha prospettato la possibilità di una momentanea espansione dell’area produttiva.

Il 3 dicembre il Comitato di cittadini per la riconversione della fabbrica ha inviato una lettera aperta in cui chiede «un confronto aperto e sincero con tutti per trovare insieme il coraggio e sostenere insieme percorsi nuovi che costruiscano pace e dignità nel lavoro per noi e per chi paga sulla propria pelle le scelte della nostra “civiltà”». Non è un confronto facile, in un territorio nel quale le armi da guerra sono la principale, ed anche l’unica, fonte di reddito.

«La Sardegna – scrive il comitato per la riconversione – si mostra così vittima e complice di politiche di guerra. Una regione così ricca di opportunità potrebbe avere uno sviluppo armonico, coordinato fra i vari settori, sufficiente per i propri abitanti e per trattenere i giovani che emigrano: accetta invece di essere la terra che prepara la guerra con le sue basi e le sue fabbriche di armi». Non si tratta, dunque, di colpevolizzare i lavoratori, ma «creare i presupposti per uno sviluppo del territorio che sia pacifico e sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, come segno di volontà di pace dal basso che possa costituire uno stimolo alla cittadinanza attiva e alla politica, necessario in questo clima di “guerra mondiale a pezzi».

 

 

 

 

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