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Villagrande, il racconto di zia Giacobba, 105 anni e una grande passione per la lettura

Giacobba Lepori,  – classe 1912 –, ha molto da raccontare. Con i suoi 105 anni è la donna più anziana di Villagrande.

La prima cosa che si nota di lei, è un’innata tendenza all’allegria. Sorride, risponde a tono.  Scopriamo subito del grande amore che nutre per la lettura.

Comprava il giornale, la domenica, e si sedeva vicino alla finestra per leggerlo al marito. Ha sempre letto tutti i libri che i figli portavano a casa da scuola. Ecco perché non ha alcun problema a esprimersi in italiano corretto.
Si ricorda bene il passato, un passato che noi possiamo visualizzare mediante le sue parole.

«Di bello non posso raccontare niente» scherza. «Prima andavo a scuola e non sono potuta andare più che non me l’hanno più permesso. Mi hanno messa a zappare

Le porte del lavoro si aprivano presto per i bambini, a quel tempo. Alla fine delle scuole elementari, erano considerati adulti. Le bambine imparavano a fare is cumandoso in casa (i doveri di casa). I bambini venivano mandati a fare i pastori – ma questo persino prima che finissero le scuole.

Zia Giacobba ci racconta che ha terminato solo la quarta elementare, la quinta non c’era.
La maestra delle elementari insegnava, oltre che a scrivere e a leggere, anche a cucire. Si imparava a fare il taglio dei vestiti, cosicché si potessero fabbricare gli abiti per tutta la famiglia.
«La maestra si è impegnata, mi ha dato una macchina per cucire. L’ha acquistata e me l’ha data. E l’abbiamo pagata così, con le cose di casa.» Quello che si aveva: formaggio, patate, fagioli.
Con una macchina da cucire Singer, fabbricava i vestiti per tutta la famiglia. Si era negli anni ’20, nessuno aveva soldi e non si comprava nulla. Le camicie – quelle ricamate e quelle per tutti i giorni – ma anche le sottogonne e le giacche: tutto era prodotto in casa.
Era certamente una vita diversa da quella che i nostri ragazzi conoscono adesso. Il mangiare era più sano, sì, ma veniva anche sudato. Per il pane, c’erano vari passaggi. Seminavano il grano. Macinavano, setacciavano. Solo dopo molto lavoro si otteneva il prodotto finito. Sono passaggi che noi, così abituati alla modernità, ai negozi dove si compra di tutto, al tutto e subito, possiamo solo immaginare.
All’orto si andava perlopiù a piedi. Solo se era molto lontano, si poteva prendere il cavallo di famiglia. Chi non aveva grandi tragitti da fare aveva l’asinello. Negli anni 60/70 sono arrivati i primi autobus, ma molti continuavano a non voler usufruire di questo servizio.
Si partiva prima che albeggiasse,  dice, “anche prima che ci fosse luce”. «In s’antigu si mangiavano patate arrosto e fave a palitta.» Dopo la lunga giornata all’orto, si cucinava questo per tutti.
L’acqua nelle case è arrivata intorno agli anni ’60. Prima, per lavare i panni, si andava al fiume o nelle vasche – disseminate in tutto il paese. «Andavamo a lavare i vestiti a Malauleri o a Piraonia. Lì non c’era solo la vasca, per i cavalli c’era anche l’abbeveratoio. C’era una pietra grande, un po’ in alto. L’acqua era calda. Adesso le persone non vanno più a lavare i vestiti così, anche se la vasca c’è ancora.»

Le vasche erano quasi uguali. Durante i tempi di guerra, racconta, non c’era nulla per nessuno. Non s’agattada orroba. Per fare i vestitini per i propri figli, qualche lenzuolo. Ci si arrangiava con quello che si aveva.
Al momento dei saluti, nel dialetto villagrandese  dice: «Non dovete baciare le donne vecchie che vi contagiano la vecchiaia.»

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