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Arriva l’etichetta di origine per i derivati del pomodoro. Importante per la Sardegna, che patisce la concorrenza sleale cinese

Arriva l’etichetta di origine per i derivati del pomodoro. Una notizia attesa in Sardegna, dove seppur limitate, le produzioni sono di altissima qualità e rischiavano di essere messe a rischio dalla concorrenza sleale delle importazioni: gli arrivi dalla Cina sono aumentati del 36% per un totale 92 milioni di chili di concentrato di pomodoro da spacciare come Made in Italy nel 2016.

Ad annunciare l’emanazione del decreto per l’etichetta d’origine per i derivati come conserve e concentrato di pomodoro, oltre che a sughi e salse che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro, è stato il ministro alle Politiche Agricole Maurizio Martina sabato scorso al Forum agroalimentare di Cernobbio promosso dalla Coldiretti.

«Una buona notizia che segue nel giro di poco tempo quella sul latte, pasta e riso – commenta il presidente di Coldiretti Sardegna Battista Cualbu -. Le nostre lunghe battaglie sul tema stanno piano piano portando dei risultati che andranno a beneficio dei produttori ma anche di tutto il made in Italy agroalimentare e quindi dei consumatori che potranno fare la spesa con maggiore consapevolezza».

«Un traguardo che va a rafforzare il lavoro di filiera che stiamo portando avanti nel settore con il marchio Io sono sardo – spiega il direttore di Coldiretti Sardegna Luca Saba –. Siamo riusciti a dare un valore aggiunto non solo in termini economici a chi lo produce ma anche qualitativo alle produzioni sarde del pomodoro da industria».

In Sardegna la coltivazione del pomodoro da industria era crollato: oggi si producono in media 320mila quintali di pomodoro con la coltivazione di circa 400 ettari (lo 0,55% rispetto ai 72.000 coltivati in tutta Italia) distribuiti tra il Medio Campidano e l’Oristanese, la metà rispetto a 25 anni fa quando invece i quintali erano circa 700 mila.

«La filiera Io sono sardo, nata nel 2011, grazie alla collaborazione tra Coldiretti Sardegna e Arpos la cooperativa che riunisce i 70 produttori sardi di pomodoro da industria, in cinque anni è passata dalla lavorazione di 500 quintali a 10mila – ricorda Priamo Picci, presidente di Arpos -. Abbiamo scommesso sulla qualità su tutta la filiera e l’etichetta di origine non può che rafforzare il nostro progetto».

Il provvedimento prevede che le confezioni di derivati del pomodoro, sughi e salse prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture:

  1. a) Paese di coltivazione del pomodoro: nome del Paese nel quale il pomodoro viene coltivato;

  2. b) Paese di trasformazione del pomodoro: nome del paese in cui il pomodoro è stato trasformato.

Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE. Se tutte le operazioni avvengono nel nostro Paese si può utilizzare la dicitura “Origine del pomodoro: Italia”.

Ad oggi l’obbligo di indicare la provenienza è in vigore in Italia solo per le passate ma non per pelati, polpe, sughi e soprattutto concentrati. Il risultato è che dalla Cina si sta assistendo ad un crescendo di navi che sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso con concentrato di pomodoro da rilavorare e confezionare come italiano poiché nei contenitori al dettaglio è obbligatorio indicare solo il luogo di confezionamento, ma non quello di coltivazione del pomodoro.

In sostanza i pomodori di provenienza cinese rappresentano circa il 15% della produzione nazionale in equivalente di pomodoro fresco. Un fiume di prodotto che viene poi spacciato nel mondo come tricolore in concentrati e sughi. Il pomodoro è il condimento maggiormente acquistato dagli italiani. Resta ancora da etichettare con l’indicazione dell’origine 1/4 della spesa alimentare degli italiani dai salumi ai succhi di frutta, dalle confetture al pane, fino alla carne di coniglio.

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