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Ilbono. Il ricordo di Maurizio Marras nelle parole della figlia Federica

Mister, sportivo, anima delle feste, organizzatore di eventi, dispensatore di positività e buoni consigli, amico, marito. Maurizio Marras, ex carabiniere di Ilbono, era un sacco di cose, soprattutto, padre.

Foscolo insegna che la vita può vincere la morte attraverso il ricordo, e  le parole di Federica Marras faranno rivivere suo papà, a 7 anni dalla sua scomparsa. Anche se forse, Maurizio, dal cuore non solo della sua famiglia ma di tutti coloro che hanno avuto l’onore di conoscerlo, non se n’è mai andato.

Ricordo bene che ciò che mi spaventava di più era il tempo – racconta, con emozione, Federica – temevo che avrebbe modificato la memoria dei momenti passati con lui, temevo che gli amici, i parenti, gli allievi e le allieve della scuola calcio potessero scordare la sua solarità, la sua bellezza, il suo sorriso.

Vi dirò che non ho perso solo un padre, ho perso un amico, di quelli con cui canti a squarciagola canzoni stonate durante lunghi viaggi, un amico con cui giocare ai video games fino a notte fonda, un alleato con cui stuzzicare la pazienza di mia madre con degli scherzi idioti. Ho perso un padre che mi accarezzava la schiena durante i film la sera, un padre che mi prendeva in giro per il mio modo di mangiare, un padre che mi svegliava con la musica dance a palla e mi sussurrava all’orecchio canzoni inventate.”

Nel settembre del 2009 i primi sintomi, all’apparenza normali visto il cambio di stagione e i primi freddi.

“Ricordo che in quel periodo iniziò a sentire un fastidio al petto, iniziò a tossire di continuo. Erano iniziati i primi freddi, i primi sblazi di temperatura e, per un uomo così attivo, sempre attento e puntuale nelle visite medico-sportive, una semplice tosse non poteva che essere una semplice tosse. Niente di più! Ma la tosse iniziò a non dargli pace e, alle visite sportive, la visita spirometrica non dava più gli eccellenti risultati di un tempo. Il dimagrimento e la perdita di appetito iniziarono ad essere il più spaventoso campanello di allarme“.

Da lì l’inizio di un calvario fatto di interpretazioni delle prime diagnosi, lacrime, paura ed estenuanti ricerche su dizionari e pagine web, alla ricerca di qualcosa che facesse sembrare la diagnosi meno spaventosa.  

“Nonostante le paure e i dubbi di quei mesi, a gennaio del 2010 io, mia madre e mio fratello non eravamo pronti a sentire quelle dure parole, non eravamo pronti a vedere il disegno che il primario di chirurgia fece su un foglio bianco per spiegarci che una macchia nera sostituiva in blocco stomaco, polmoni e una parte del fegato. A poco serviva provare rabbia di fronte ai medici che fino a quel momento non avevano saputo dare risposte alle nostre continue richieste di aiuto, impossibile piangere davanti a lui che non aveva mai perso il sorriso, a lui che aveva una parola di gioia per tutte le persone che andavano a trovarlo in quel letto di ospedale che, giorno dopo giorno, diventava troppo grande per un corpo che si consumava visibilmente. Io non mi sforzavo di sorridere entrando nella sua stanza, non mi sforzavo di essere forte. Era così facile! Mi bastava vedere la sua forza di volontà per credere che sarebbe andato tutto bene! Ricordo che mi facevo da parte e passavo le giornate nell’andito dell’ospedale, lasciando spazio a chi voleva vederlo, a chi voleva dirgli grazie, a chi voleva chiedergli perdono, a chi voleva dirgli “addio”. Ma io ci credevo, ci credevo davvero che ce l’avrebbe fatta!”

Una speranza quella di rivedere un giorno il papà in forma come un tempo, che ha lasciato spazio il 26 marzo del 2010 alla disperazione, quando Maurizio è andato via, a soli 47 anni. 

Come sto adesso non ve lo posso raccontare, ma posso dirvi che ancora mi spaventa il tempo. Ho paura che il tempo mi renda una persona troppo diversa da quella che lui ha lasciato. Vorrei dirgli che non è stato dimenticato, che lo vedo nella forza di mia madre, nello sguardo di mio fratello, nelle parole di mia cognata che racconta ai suoi figli che nonno sarebbe stato nonno Maurizio, lo vedo nella loro bellezza. Vorrei dirgli che il campo sportivo dove passava il tempo, ora porta il suo nome, che un torneo di calcio viene disputato in sua memoria, che una pagina facebook è attiva nella speranza che tutti condividano pensieri, foto e ricordi di lui. Vorrei dirgli che mi manca.”