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Come si viveva nella Sardegna medievale? Lo rivelano gli scavi del villaggio abbandonato di Bisarcio

bisarcio scavi

Immagine tratta da “Una comunità rurale della Sardegna tra XII e XVIII secolo. Lo sguardo dell’archeologia tra Vescovo, clero e società civile”

Articolo di Gianluigi Torchiani dal portale Cronache Sarde

Come si viveva nella Sardegna del Medioevo? Pochi sardi saprebbero oggi rispondere a questa domanda, che probabilmente riguarda il periodo storico con cui oggi c’è in assoluto la minore familiarità, al contrario di un’epoca nuragica considerata come molto vicina (per ragioni di carattere identitario e non solo). Ma neanche gli storici, in realtà, hanno chiarissime le condizioni di vita reali delle persone comuni, anche a causa della penuria di fonti scritte che caratterizza la storia dell’Isola sino all’avvento della dominazione aragonese. Un aiuto importante alla scoperta di informazioni preziose per questo periodo può arrivare dall’archeologia, come testimoniano gli scavi archeologici condotti recentemente su Bisarcio, un insediamento ormai abbandonato nel territorio del comune di Ozieri, che era situato nelle immediate vicinanze della cattedrale di Sant’Antioco di Bisarcio (costruita in piena epoca giudicale).

Proprio agli scavi di Bisarcio Marco Milanese, Professore Ordinario di Archeologia (Cattedre di Metodologia della Ricerca Archeologica, Archeologia Medievale e Postmedievale) presso l’Università di Sassari, ha appena dedicato un saggio, intitolato “Bisarcio: una comunità rurale della Sardegna tra XII e XVIII secolo”. Cronache Sarde ha intervistato il Professor Milanese per capire come e perché gli scavi di Bisarcio possano aprirci una preziosa finestra sulle condizioni della Sardegna nel Medioevo

Bisarcio: un grande villaggio rurale nel cuore della Sardegna giudicale
“Bisarcio è un insediamento che è stato abbandonato nei primi anni del 1700, probabilmente intorno al 1720. Si tratta di un centro abitato che è piuttosto interessante per la storia sarda per vari motivi. Innanzitutto si trattava di un villaggio rurale piuttosto popoloso e importante dal punto di vista demografico, tanto che probabilmente si aggirava intorno ai 1200 abitanti. Se consideriamo che molti paesi della Sardegna attualmente non superano i 1000 abitanti, si capisce che Bisarcio aveva un certo spessore per l’epoca. Bisarcio aveva poi un’altra caratteristica piuttosto significativa: questo villaggio non era situato in una qualsiasi zona rurale, ma era localizzato a meno di 100 metri di distanza dall’importante basilica di Sant’Antioco, che era una sede vescovile a partire dall’XI secolo, anzi era una delle diocesi più antiche e importanti della Sardegna”.

Il ruolo del vescovo e i rapporti di potere nel Medioevo sardo
Alla figura del vescovo di Bisarcio era riconosciuto nel Medioevo (e in particolar modo nel periodo giudicale, ovvero tra XI e prima metà del XIII secolo) un ruolo politico di primo piano e d’interlocutore obbligatorio del potere civile, rappresentato dal giudice-re del Giudicato di Torres, che aveva la sua sede nel vicino sito regio di Ardara, scrive Milanese nel suo saggio. Proprio la presenza del vescovo era per la popolazione di Bisarcio da un lato un vantaggio, dal momento che questa presenza garantiva protezione o, comunque, una sorta di situazione privilegiata. D’altra parte gli abitanti dovevano corrispondere al vescovo delle decime e tutta un’altra serie di obblighi di carattere fiscale, dando vita a una sorta di rapporto di dipendenza, anche se non dello stesso grado e pesantezza di quelli del sistema feudale.

Una società familiare
Il contributo dell’archeologia alla comprensione delle condizioni della Bisarcio medievale è stato notevole: “Gli scavi archeologici hanno portato alla luce un villaggio che in precedenza era totalmente invisibile, a parte qualche struttura muraria che si poteva osservare nelle tancas dei terreni vicini alla basilica. Ad esempio dallo studio del cimitero abbiamo ricavato delle informazioni molto interessanti. I defunti erano molto probabilmente abitanti del villaggio o del circondario o, comunque, facevano parte della diocesi. Su questi resti umani abbiamo condotto una serie di studi di carattere bio-archeologico. Uno di questi scheletri era stato sepolto con un paio di forbici e le successive analisi hanno rivelato che soffriva di una forma artritica alle mani; quindi, si trattava di un professionista del settore, forse un sarto”.  Una testimonianza diretta, insomma, di come non tutti gli abitanti del villaggio fossero esclusivamente dediti alle attività agropastorali.

Le sepolture rinvenute a Bisarcio
Nel cimitero di Bisarcio è stata fatta poi una scoperta piuttosto incredibile: tre corpi, infatti, presentano una moneta saldamente assicurata al centro della squama del frontale. “Si tratta probabilmente di un elemento devozionale, perché queste sepolture sono piegate di lato, in posizione fetale, quasi inginocchiate e sono rivolte verso la parete nord della basilica. A sottolineare la devozione del defunto c’era poi questa moneta sulla fronte, che era tenuta assicurata con una fettuccia di stoffa (ne abbiamo trovato traccia nelle monete ossidate), quasi a ricordare l’antico obolo che si pagava a Caronte nelle sepolture di età romana ma anche successiva. Non si tratta di un elemento unico nelle sepolture medievali ma è comunque estremamente peculiare e interessante”, evidenzia l’archeologo.

Cosa rivelano gli scavi archeologici sulla vita quotidiana
Altre evidenze degli scavi archeologici, come le cucine rinvenute nella canonica del palazzo vescovile o anche la quantità di ossa animali, permettono di affermare come nella Bisarcio di epoca giudicale non ci fosse una povertà diffusa ma, anzi, si mangiasse relativamente bene. Una tesi che, con tutte le prudenze del caso, può essere estesa anche a tutta la Sardegna del tempo, come indicano altri ritrovamenti analoghi (come il sito di Geridu). “Ovviamente anche i sardi medievali hanno patito le loro carestie ma, oltre a quello che ci raccontano le ossa dei defunti, anche gli oggetti e i manufatti ritrovati testimoniano l’accesso degli abitanti a un commercio di tipo internazionale. Gli abitanti di Bisarcio utilizzavano vasellame che proveniva dalla Spagna, da Pisa, ecc e, soprattutto, utilizzavano la moneta: in altre parole, la loro non era un’economia completamente fondata sul baratto. Possedevano dunque un surplus che potevano scegliere di investire anche in qualcosa di non strettamente indispensabile per la sopravvivenza”.

Crisi demografica, peste e feudalesimo: il declino di Bisarcio
Le cose cambiarono a partire dalla seconda metà del Trecento, sia per effetto dell’esplosione dell’epidemia di peste che coinvolse l’intera Europa, ma anche per l’inizio della dominazione catalano-aragonese: “Bisarcio riuscì a sopravvivere alla crisi del Trecento probabilmente perché il numero degli abitanti di partenza era molto rilevante, permettendogli così di superare la crisi demografica, che in Sardegna è stata particolarmente pesante, tanto da portare all’abbandono di circa il 50% dei villaggi rurali. In ogni caso nel Cinquecento la popolazione di Bisarcio era poco più dimezzata rispetto al suo periodo d’oro. Oltre alla peste nera, anche l’arrivo dei catalani ha influito negativamente, perché introdusse, in una società che era comunque caratterizzata da un certo grado di libertà, il feudalesimo. Fu così istituito un sistema di dipendenza ed esazioni fiscali che da un certo punto in poi divenne insostenibile per le popolazioni sarde, soprattutto perché non teneva conto del numero degli abitanti e delle famiglie, ma era calcolato sul singolo villaggio. Con l’avvenuto dimezzamento della popolazione, questo si tradusse sostanzialmente in un raddoppio del carico fiscale per i singoli residenti”.

La crisi demografica portò nel 1503 alla chiusura della diocesi di Bisarcio (con relativo accorpamento ad Alghero) e introdusse un elemento di debolezza per il vicino centro abitato, dal momento che la presenza del vescovo – seppure tra luci e ombre – rappresentava un punto di riferimento per la popolazione. Bisarcio riuscì comunque a sopravvivere, arrivando addirittura a superare le pestilenze del Seicento. Alla fine del diciassettesimo secolo la situazione iniziò però a peggiorare drasticamente, anche perché l’intera area era interessata da un banditismo particolarmente vigoroso. All’inizio del Settecento gran parte della popolazione si spostò ad Ozieri, tanto che a Bisarcio rimasero poche famiglie (appena 9 più il parroco). Intorno al 1720 ci fu l’abbandono definitivo del villaggio, tanto che già in un documento del 1769 la zona venne dichiarata completamente deserta.

Cosa ci racconta Bisarcio della storia medievale
La storia di Bisarcio finisce qui, ma l’importanza storica va oltre il singolo sito archeologico: “ Gli scavi di Bisarcio mettono in evidenza una chiave di lettura per infinite situazioni simili in Sardegna, ma su cui c’è ancora pochissima consapevolezza a livello regionale. Ovvero che la storia delle campagne sarde nel Medioevo è in gran parte sepolta attorno a ruderi di chiese e monasteri, in situazioni che sono in gran parte invisibili e di cui rimane magari solo un toponimo popolare (Santu Pedru, Sant’Andria, ecc). Tutto questo non sarebbe un problema se il territorio della Sardegna non fosse in continua trasformazione: purtroppo opere pubbliche e private vanno a incidere su aree in cui spesso non c’è programmazione. Sono infatti pochi i comuni e gli enti locali dotati di strumenti di valutazione e pianificazione come i PUC.

Dunque il caso di Bisarcio ci mostra chiese, abazie e monasteri sono certamente interessanti in quanto monumenti, che possono svolgere anche l’utile e lodevole funzione di attirare visitatori, ma costituiscono soltanto la punta di un iceberg di un universo che è in gran parte sepolto, che è poi la storia della Sardegna rurale del medioevo.  Bisarcio ha la poi la caratteristica di mettere in evidenza il contributo che può arrivare dall’archeologia alla conoscenza storica, a fronte della debolezza dei documenti scritti disponibili prima dell’arrivo dei catalano-aragonesi. D’altra parte il fine ultimo dell’archeologia non è certo quello trovare il singolo monile o la moneta antica, ma è di fornire un contributo alla comprensione storica della società del passato. Soprattutto per quei periodi come il Medioevo, in cui le conoscenze sulla effettiva struttura della vita quotidiana sono ancora limitate”, conclude Milanese.

*Tutte le immagini dell’articolo sono tratte da “Una comunità rurale della Sardegna tra XII e XVIII secolo. Lo sguardo dell’archeologia tra Vescovo, clero e società civile” di Marco Milanese, su gentile concessione dell’autore

 

 

 

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