Attrice di teatro e cinema, cantante, poetessa e docente, Gisella Vacca è una delle voci più intense e sfaccettate della scena artistica sarda contemporanea. Cagliaritana d’adozione ma con radici profonde in Barbagia, Vacca si definisce «figlia di due terre». «Dico sempre, anche con un certo orgoglio, che appartengo a due terre, il mio paese e la mia città: le penso come una grande quercia e, metaforicamente, ne situo le radici a Ovodda e le fronde a Cagliari», racconta. È proprio in questo doppio respiro, tra montagna e mare, tradizione e modernità, che nasce la sua arte.
«Cagliari mi facilita la comunicazione», spiega, «ma tutta la mia produzione artistica in fondo nasce nel paese, soprattutto nel cortile dei miei nonni, grazie a uno stuolo di donne – mia madre, le sue sorelle e le sue numerose cugine – che si riunivano tutti i pomeriggi per intrecciare fili e parole». In quel cortile, tra risate e storie sussurrate, Gisella ha imparato il ritmo della vita, l’importanza della memoria, e persino l’arte di intrecciare fili reali e simbolici. «Il cortile ormai è tristemente vuoto, ma io posso attingere a quel pozzo profondissimo quando voglio. Quei ricordi continuano a ispirarmi, anche miscelandosi al vissuto successivo, al presente e, spero, al futuro».
La sua arte è un organismo vivo in cui musica, teatro e poesia convivono naturalmente. «Un fil rouge avvolge queste tre arti», spiega. «Garcia Lorca, poeta che amo tantissimo, diceva che il teatro è poesia che si solleva dai libri e si fa umana. La poesia, ma spesso anche la prosa, condivide con la musica la prosodia, oltre ad altri elementi squisitamente musicali, soprattutto quando è declamata. Diciamo che è stato molto naturale per la mia sensibilità farle convivere».
Se l’arte è conoscenza di sé, per Vacca è anche un dialogo con le proprie radici. «Più che come responsabilità, la sento come una mia necessità», dice a proposito del suo rapporto con la cultura sarda. «Praticare un’arte è prima di tutto un modo per conoscere sé stessi, per poi manifestare la propria essenza al resto del mondo. Forse essere nata in Barbagia mi ha dato una consapevolezza più solida dell’appartenenza alla Sardegna e dunque più naturalezza nell’esprimere la sua essenza nelle mie espressioni artistiche».
E aggiunge: «Credo che se si ha un’identità precisa, e quindi delle cospicue differenze rispetto all’altro da sé, ci si possa confrontare in maniera più fertile. L’omologazione verso cui ci trascina l’epoca odierna difficilmente porta arricchimento culturale».
Il processo creativo, per Gisella, nasce dall’ascolto. «Ho fiducia nelle Muse, nell’ispirazione. A me arrivano come dei messaggi, degli input improvvisi: per una poesia può essere un unico verso; un’immagine per uno spettacolo; un germe di storia o un volto per un racconto». Annotare, attendere, rielaborare: «Io prendo un appunto e ci torno spesso, a volte per anni; ci investo energie fino a quando il risultato non mi convince. Non “libero” una creazione fino a quando proprio non mi persuade totalmente».
La sua formazione parte dal canto lirico, un amore antico. «Ho studiato canto lirico perché era l’unica possibilità, allora, di studiare canto», racconta. «Da adolescente, controcorrente rispetto alle mie amiche, che magari avevano il poster di Claudio Baglioni appeso in camera, io veneravo la Callas. Ricordo che quando venni a studiare a Cagliari per il liceo mi iscrissi a una squadra di calcio femminile. Negli spogliatoi, dopo gli allenamenti o dopo le partite, io facevo la doccia cantando arie d’opera: ero quella strana!».
Dopo il Conservatorio, però, capisce che la lirica pura non può contenerla. «Per fare la cantante lirica bisogna diventare un po’ delle sacerdotesse: vivere in un certo modo; abbandonare tutta una parte di vita e di arte che per me è invece fondamentale», spiega. Così nasce la sua strada personale: unire canto, teatro e poesia. «Mi è venuto naturale, come dicevi all’inizio, unire al canto il teatro e la poesia, ma intendo un teatro che permetta anche di dire delle cose importanti sulla vita, sull’attualità. Permetta di schierarsi e di gridarlo al mondo».
Il suo è un percorso di libertà e autenticità. «L’Opera, lo dico con amore intatto, non ti dà il tempo e le occasioni per esprimerti in totale libertà. Perciò, mi sono cucita addosso la dimensione artistica perfetta. Perfetta per me». Fondamentale, in questo viaggio, l’incontro con maestri illuminati, come Mario Faticoni e Roberto Coviello: «Mi hanno incoraggiato a seguire le mie istanze differenti, perché questo mi permette di utilizzare al meglio tutta la gamma della mia voce».
Cantare per lei è un atto di libertà, e il repertorio spazia dal popolare ai canti del mondo: «Mi piacciono i canti dei popoli, i canti del mondo; canto in tantissime lingue, ricorrendo a tutte le sfumature della mia vocalità. Nel repertorio popolare a volte può risultare strano, ma a me dà tantissima gioia».
Artista impegnata, Gisella non rinuncia mai a un messaggio. «Spero che il mio messaggio in musica e in poesia lasci almeno un piccolo segno. Evidentemente credo che dei piccoli semi si debbano sempre lasciar cadere, anche nelle terre apparentemente sterili». Cita Clarissa Pinkola Estés, con parole che le fanno da guida: «Il seme nuovo è fiducioso, si radica nel profondo, nei luoghi che sono più vuoti».
Insegnante appassionata, Vacca trova nei suoi allievi un continuo scambio vitale. «Con i miei allievi di canto è sempre in atto uno scambio. Probabilmente, nel corso degli anni, chi ha imparato di più, in realtà, sono io, perché ho sempre a disposizione tantissime vocalità, di differente genere, età e personalità, di cui prendermi cura. Tutti questi esempi mi migliorano, non solo come docente ma anche come artista».
Quando le si chiede dei suoi maestri, Gisella si illumina: «Ho avuto moltissima fortuna con i maestri. Anche con alcuni incrociati per un solo istante. Per questa risposta ci vorrebbe un elenco infinito di ringraziamenti. Ho voluto ringraziare pubblicamente tantissime persone e la vita – la vita, in realtà, la ringrazio quotidianamente – per tutti questi doni straordinari».
Guardando al futuro, la sua visione è chiara e poetica: «Nell’arte credo sia importante prima di tutto suscitare almeno una piccola catarsi in chi ascolta, vede, legge. Mi piacerebbe commuovere, soprattutto nel segno dell’unicità. Vale per la vocalità, perché più una voce è unica, più è riconoscibile. Ma vale anche per le idee, per lo stile di vita».
E conclude con un pensiero che è quasi un manifesto: «Bisognerebbe aver cura di non essere mai manipolati mentalmente. Il mio percorso è anche questo: inseguire delle istanze profondamente mie e nonostante questo cercare di vivere in armonia col resto del mondo. Con le dovute eccezioni, perché sono pur sempre un essere umano e, a volte, è veramente difficile coltivare il rispetto. D’altro canto, ogni essere compie un percorso personale e non sappiamo a quale tappa della propria evoluzione sia arrivato, perciò cerco di evitare giudizi. O almeno ci provo».
Tra Barbagia e Cagliari, tra il canto e la parola, Gisella Vacca continua a intrecciare fili, proprio come quelle donne nel cortile della sua infanzia. Solo che ora, quei fili, si chiamano arte.
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