Di fotografi ce ne sono tanti, ma pochi riescono a imprimere nelle immagini una forma così intensa di poesia e verità come fa Paolo Serrau. Nato nel 1968, vive a Cagliari, nel quartiere La Vega, ma porta dentro di sé le radici forti dell’Ogliastra, da cui proviene la sua famiglia. Si definisce ancora, con disarmante umiltà, “fotografo amatoriale”, ma dietro questa parola si cela un percorso di oltre trent’anni fatto di passione autentica, ricerca estetica e una coerenza artistica rara: guardare il mondo con il cuore, prima ancora che con gli occhi.
Il suo viaggio nella fotografia comincia da giovanissimo, quando resta folgorato dalle immagini in bianco e nero del maestro Ansel Adams, il primo grande amore artistico che gli ha fatto scoprire la potenza emotiva della luce e delle ombre. Ma è stato l’incontro artistico con lo stile crudo e iconico di Anton Corbijn, celebre per i suoi ritratti musicali e le atmosfere malinconiche, a segnare definitivamente la sua sensibilità: “In lui mi sono riconosciuto, artisticamente lo sento vicino”, racconta.
La poetica fotografica di Serrau nasce in analogico. Ha vissuto per anni nella sua camera oscura, stampando a mano ogni scatto, conoscendo l’attesa e la cura del processo artigianale. Oggi fotografa anche in digitale, come tutti, ma l’impronta è rimasta quella lenta e profonda del rullino. Non ha mai voluto uno studio fisso: si definisce “fotografo ambulante”, freelance da strada, perché è nelle vie, nelle piazze, tra la gente, che si sente a casa.
Dopo la pausa forzata della pandemia, Serrau ha ripreso a fotografare con ancora più consapevolezza. La sua fotografia è diventata più onirica, più viscerale: “Cerco la bellezza anche dove non sembra esserci. Anche nei luoghi più duri, nei volti segnati, nelle situazioni più respingenti. Voglio vedere la realtà col cuore”.
Oggi i suoi soggetti prediletti sono le persone nei paesaggi urbani, la fotografia di strada, i ritratti. Ma una nuova passione ha preso forza negli ultimi anni: la fotografia di scena a teatro. È stato un amore tardivo, scoperto quasi per caso grazie al lavoro con il T-Off di Cagliari, diretto da Lupa Maimone. “Un’esperienza che mi ha emozionato profondamente. È stato un viaggio visivo dentro la magia del teatro. Credo che quella scoperta mi accompagnerà a lungo”.
Tra i progetti più importanti, ce ne sono due che Serrau porta nel cuore. Il primo è la serie fotografica realizzata con due giovani amici, Nina Bergal e Filippo Littarru. Una collaborazione che ha portato a una raccolta di ritratti di grande forza espressiva, tanto da attirare attenzione anche all’estero. L’altro è proprio il progetto con il T-Off: la scoperta della fotografia teatrale ha aperto una nuova stagione creativa, che oggi si sta trasformando in nuovi progetti legati alla musica e al palcoscenico, previsti per l’autunno.
Nonostante si definisca ancora “amatoriale”, Serrau ha ricevuto diversi riconoscimenti. Lo scorso anno è stato selezionato da A Banda, prestigioso concorso sardo, e inserito tra i 100 fotografi della Sardegna, con una sua immagine pubblicata nel volume “Nessuno crede più all’amore” (2024). A sorpresa, è stato anche intervistato da un magazine indiano, incuriosito dalla sua poetica fotografica. E solo pochi giorni fa, una sua foto è stata selezionata per un contest internazionale che ha visto partecipare autori da tutto il mondo.
Serrau ama ritrarre le persone nella città, dentro cornici urbane che raccontano storie silenziose. È fedele al bianco e nero, che considera più vicino alla verità dell’emozione. E ai giovani che si avvicinano alla fotografia lancia un messaggio chiaro: “Seguite l’istinto, uscite, buttatevi nella mischia, fotografate e fotografate ancora. Ma con una macchina fotografica vera, non con lo smartphone. E poi curate la post-produzione, perché la foto non finisce con lo scatto: anche lì si costruisce il senso e l’atmosfera di un’immagine”.
Trent’anni dopo i primi scatti, Paolo continua a camminare con la macchina al collo, cercando la bellezza nei volti, nei silenzi, nei margini. E come ogni fotografo che si rispetti, ancora si emoziona davanti a un volto in controluce, a un gesto rubato, a un’ombra che racconta. Non cerca la perfezione. Cerca la verità. E forse è proprio questo a renderlo così speciale.
.