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Sadali, la storia di Giuliana Farris: la “contadina” che con passione continua a coltivare l’orto con metodi della tradizione

Di Rita Coda Deiana

Ci sono antichi mestieri, più di altri, depositari dell’antico sapere dove la mano dell’uomo è riuscita a
creare, partendo da materie prime essenziali, semplici, immediate, un filo della lunghezza infinita che ha
connesso la manualità del passato con il presente, proiettandola verso il futuro. Una manualità in grado di unire e dare luce a un passato-guida, attraverso i meandri del Sapere…con la speranza di trasmettere dei valori e conoscenze, affinché non si perdano nel limbo del Tempo che passa. Fin dall’antichità la
manualità ha rivestito un ruolo fondamentale nel progresso dell’umanità, e con l’avanzare delle arti ha
arricchito di dettagli ogni manufatto. Lavorare la terra è un’arte che rientra tra i più antichi e nobili
mestieri del mondo. Un antico mestiere dove la fatica, le intemperie del tempo, la condiscendenza, il
sacrificio e l’esperienza, hanno segnato, attraverso i solchi della terra, il paesaggio delle nostre campagne, dando vita a ciò che arriva direttamente sulle nostre tavole e a quella realtà legata al cibo valorizzando i territori e le nostre culture.

E’ nel paese di Sadali, noto per essere il Paese dell’Acqua, che si può incontrare quella lentezza che anticamente scandiva il tempo degli uomini e donne che lavoravano la terra, quel modo di vivere il proprio lavoro nelle sue infinite potenzialità con consapevolezza e impegno. Il tutto è accompagnato dal ritmo fluido che scorre nei fiumi e nelle cascate che caratterizzano questo luogo incontaminato. E’ infatti l’Acqua ad essere la vera protagonista. Il suo significato profondo serpeggia tra i meandri del Tempo, portando con sé antica conoscenza e memoria. L’Acqua è prima di tutto vita e prosperità, rigenerazione e creazione. Gli abitanti di questo paese, ben conoscono la forza e la vitalità delle cascate che padroneggiano a Sadali e quella stessa forza la riversano fluida nella creatività del loro lavoro quotidiano.

E’ nello scenario fantastico di questo paese, con le sue tradizioni e le sue credenze profonde, che ho avuto
l’onore di conoscere una donna meravigliosa: Giuliana Farris. Una donna che con la sua perseveranza, sacrificio e consapevolezza, continua a valorizzare, in modo tradizionale, un antico sapere come quello della lavorazione degli orti. Un sapere fondamentale per rivedere il Presente nel nome del Futuro e creare così dei punti di contatto, delle ramificazioni che uniscano ed avvicinino nuove sorgenti, nuovi fiumi e nuove cascate con cui alimentare l’avvenire di tutti noi. Giuliana Farris nasce a Sadali da una famiglia di persone semplici e di grandi lavoratori. E’ cresciuta con i giusti valori della vita, che i genitori: Farris Cesare e Boi Giuseppina le hanno insegnato. Fin da quando era bambina si è dedicata alla lavorazione tradizionale della terra per impiantare gli orti.

Racconta che è all’età di soli dieci anni che le fu consegnata la prima zappa (sa marra) per zappare la terra. La terra migliore per la coltivazione degli orti terrazzati di Sadali, che occupano una superficie di circa 400 ettari con la presenza di 22 km di canalette per l’acqua, è quella calcare dei Tacchi (terra tacchina), come anche quella grigia che contiene scisto (terra ziporra) e quella argillosa del Flumendosa (terra forrangia). Nei terreni non vengono utilizzati concimi chimici, diserbanti o altri veleni, ma soltanto
fertilizzanti e concimi naturali, come il letame bovino, suino, la pollina e quello equino, che è il più
pregiato e fertilizzante in assoluto, ma anche rimedi antichi come la cenere e qualche seme di cece per
allontanare le larve di maggiolino (su pintu) dalle patate e dai pomodori. Il letame viene sparso sul
terreno durante il periodo di riposo vegetativo, quando le piantine sono inattive e non assimilano sostanze nutritive. In quasi tutti i giardini delle abitazioni del Paese dell’Acqua, sono presenti dei piccoli orti denominati “Fittas de Lardu”, ma è nella parte antica del paese che si possono ammirare i terrazzamenti realizzati dalle esperte mani dell’uomo, destinati alla coltivazione degli orti. Sa Funtana Manna, Sa Funtana de Gutturu ‘e Canali e Sa Ucca Manna, rappresentano le sorgenti principali che alimentano le gore (is coras), così come le sorgenti, anche i fiumi sono fonte di approvvigionamento per l’irrigazione degli orti. La parte iniziale della canaletta delle sorgenti e dei fiumi viene denominata “Su Nassargiu”. Per l’innaffiatura, fin dal passato, sussisteva un ordine di beneficiari chiamato “S’addiamentu”, un antico sistema di turnazione nella distribuzione dell’acqua destinata alle colture degli orti. Secondo alcuni usi e costumi che tendevano a cambiare da un posto all’altro, generalmente veniva riportato che il diritto di uso irriguo sugli orti a valle della fonte o del fiume o comunque della sorgente, veniva esercitato in modo diverso da una zona all’altra probabilmente anche in relazione alla potenza della fonte d’acqua stessa.

Si concedeva un lasso di tempo che poteva andare da mezz’ora ad un’ora o più e doveva essere esercitato
nelle ore assegnate ad ognuno per irrigare il proprio orto, per cui ad esempio se la famiglia Farris aveva
diritto all’utilizzo dell’acqua dalle 02 alle 03 del mattino di un determinato giorno della settimana,
convogliava l’acqua al proprio orto a quell’ora stabilita e nessun’altra persona alla stessa ora si sarebbe
recata per annaffiare l’orto perché era l’ora della famiglia Farris. In alcune zone della Sardegna, si
suddividevano i giorni e le notti in cui, in base al diritto all’utilizzo di quell’acqua, una persona poteva
andare ad annaffiare il proprio orto ( di fatto si diceva per esempio: -”non posso fare un’altra attività
perché stanotte dalle 03 alle 06 del mattino mi tocca l’acqua”-. Per ovviare all’obbligo di andare sempre
alla stessa ora, spesso a monte dell’orto, se si aveva la possibilità si creava un accumulo che si chiamava
“su laccu ”,“sa bartza” o “sa otha”, alla quale, nelle ore stabilite veniva convogliata l’acqua che
permetteva di poterla riempire e poi innaffiare, anche in ore diverse da quelle in cui si aveva il diritto
dell’acqua dalla fonte principale.

Questo sistema di turnazione, in base alla superficie di ciascun orto, aveva la durata di un’intera giornata, e ogni beneficiario aveva il compito di rispettare il proprio turno di innaffiatura. In passato, per evitare che potessero nascere delle controversie tra i vari proprietari, era presente a controllo di tutto, una guardia comunale “sa guardiedda de su municipiu”, e tutti coloro che non rispettavano la turnazione erano suscettibili di ammenda. L’acqua che defluisce nelle gore per l’innaffiatura degli orti, è importante che giunga lentamente, questo per evitare lo scoronamento dei solchi (Scoronai), ecco perchè in molte gore sono presenti stracci ( in passato erba) per rallentare il passaggio dell’acqua e farla defluire più
dolcemente verso i solchi degli orti. I solchi che vengono realizzati nell’orto, devono avere la giusta
pendenza, né troppo in declivio, ma neanche troppo pianeggianti (surcu sezziu), perchè nel primo caso
l’acqua defluisce troppo velocemente e nel secondo tende ad allagare, con il rischio di far marcire le
colture. Per evitare questo, si realizzano all’interno di uno stesso solco, dei piccoli sbarramenti di terra (su scurzoni) con una ridotta uscita che lasciano defluire l’acqua dolcemente, permettendo la giusta
innaffiatura.

Ma quali erano e sono le fasi della lavorazione del terreno per impiantare un orto? E’ nel mese di Marzo che si inizia con la prima fase della lavorazione del terreno (manixai). In passato avveniva attraverso l’aiuto del giogo dei buoi (su giù) che trascinavano l’aratro di legno, poi in seguito con quello di ferro, che sprofondando con più facilità nel terreno favorisce una lavorazione ottimale. Nel mese di Aprile si procede con la seconda lavorazione del terreno (torrai de manu) e poi si iniziano a realizzare i solchi per mettere a dimora le colture dell’orto (surcai). Le prime colture sono quelle delle patate bianche e rosse (patatas biancasa e orrubiasa) e con le prime pioggerelline si mettono a dimora: un solco con i cavoli (cauli ‘e conca) caratteristici del territorio di Sadali, poi con il tempo si aggiunsero a questi anche la coltura dei cavolfiori (cauli ‘e frori) provenienti da Tortolì. Nella parte iniziale del solco (sa conca de su surcu), dove è presente anche l’entrata dell’acqua per irrigare l’orto, vengono messi a dimora alcuni semi di mais (cigilianu), così come anche alla fine del solco (sa còa de su surcu). La parte centrale dell’orto (su surcu de posta) era destinata e lo è ancora oggi, a 4 o 5 solchi di patate bianche e rosse, e a un solco dritto di fagioli (fasolu basciu, fasolu laccinu, fasolu faa, fasolu froriu). Come sostegno per le piantine dei fagioli, si mettono a dimora i semi del mais che crescendo permettono alle piantine di arrampicarsi, o altrimenti si utilizzano dei bastoni di legno (s’arreiga). Quando le patate incominciano a crescere, si zappano e si procede a due innaffiature e in seguito ad una nuova zappatura per assestare la terra intorno alla patata e dopo questa lavorazione e l’innaffiatura, si lasciano crescere fino al loro raccolto (s’incungiadura) che, in base alle temperature di Sadali, avviene dopo 4 mesi dalla semina. Alla fine del mese di Maggio, si iniziano a mettere a dimora le piantine di pomodoro (sa tamata) e le zucchine (sa croccoriga). Le piantine di pomodoro, ma anche quelle di basilico ( affabica) e del prezzemolo ( su perdusemini ) si producono in casa, attraverso i semenzai (sa tuedda), dove vengono seminati i semi e poi alla loro crescita, le piantine vengono trapiantate negli orti. Come si diceva una volta nel caso dei pomodori…”si andada a cambiai sa tamata”.

In molte case di Sadali nel passato, non era presente l’acqua corrente e per innaffiare il semenzaio, ci si
recava con la brocca ( sa mariga) presso “Funtana Manna”, sorgente carsica di grande importanza per
l’alimentazione dei numerosi sistemi di irrigazione del paese. In passato, le colture come i peperoni
(piberonis ), le melanzane (perdingianu), i finocchi (fenugu), non venivano coltivate, poi con il passare
degli anni queste colture sono state introdotte anche negli orti di Sadali. Il mese di Agosto è destinato alla coltivazione dello zafferano (su zaffaranu) che poi verrà raccolto nei mesi di Ottobre-Novembre. Nel
mese di Novembre vengono seminate le fave maschio e quelle femmine che sono quelle con una maggiore resa ( sa faa sarda), che si distinguono per un piccolo incavo presente alla base della fava, i
piselli ( su pisurci), l’aglio ( s’allu) che si mette a dimora su due file parallele all’interno dello stesso solco e le cipolle (sa cibudda) che, per evitare di marcire (cibudda arrenzada) vengono zappate prima nel mese
di Febbraio e poi successivamente ad Aprile. Un mese prima della raccolta, ( Per Santu Giuanni – 24
Giugno) il fusto della cipolla (scaglioni) viene piegato per permettere una maggiore crescita del bulbo
della cipolla.

Giuliana Farris, durante la visita del suo orto che si trova nel territorio di Sadali denominato “Guerì”, mi
ha narrato alcuni meravigliosi aneddoti inerenti a questo suo antico mestiere, che le sono stati tramandati di generazione in generazione. Ricorda che una sua zia, prima di mettere a dimora i fagioli, consigliava sempre di recitare una filastrocca: – “Radici per terra, Piantine al Mare, Produci quanto più puoi produrre”…. Secondo alcune credenze popolari, i petali e le foglie dello zafferano, dopo la raccolta degli stimmi venivano sparsi davanti agli ingressi delle case, affinché visibili a tutti. Un’antica usanza che veniva praticata come buon auspicio per il raccolto successivo, affinché questo potesse essere fruttuoso.
Un’altra usanza popolare era quella di realizzare dei piccoli mazzolini di basilico che venivano posti ai
piedi dei defunti come cortesia, dagli amici e parenti che si recavano a trovare le famiglie colpite dal
lutto. Anche la luna era fonte di antiche tradizioni. Si credeva che le fasi lunari potessero influenzare i
lavori della terra, semina, raccolta dei prodotti, taglio e potature degli alberi. Secondo le usanze del posto, soltanto dopo i giorni del primo quarto di luna, si potevano raccogliere le patate, tagliare e potare gli alberi e macellare il maiale.

Le “mani di una delle donne di Sadali,” quelle di Giuliana Farris segnate dal tempo, si autodeterminano,
creano e obbediscono ad un impulso interiore, quello dell’intenzione…quello del Sapere. Il loro agire si
muove nella sfera dell’infinito e rimanda alla dicotomia tra ciò che vediamo e ciò che è, e quindi al
relativismo. Quelle mani raccontano ciò che sono, raccontano se stesse, eppure in quel loro tratto leggero
si nasconde il segreto dell’essenza. Ancora una volta sono le mani ad essere protagoniste, con le loro
sfaccettature e i loro modi di esprimersi, con i loro significati profondi e i loro slanci. E noi tutti
ritroviamo nelle loro instancabili movenze l’essenziale dell’esistere, quel sapore di possibile che si cela tra le pagine del divenire universale.

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