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Il bestiario fiabesco di un artista rivoluzionario: Salvatore Fancello secondo Maurizio Cecchetti

Il bestiario fiabesco di un artista rivoluzionario: Salvatore Fancello secondo Maurizio Cecchetti.

Rivive la memoria di un artista poliedrico, straordinario e paradossalmente ancora poco conosciuto. Presentato ieri a Dorgali, nella sala Consiliare, il libro “Gli anni di Fancello. Una meteora nell’arte italiana tra le due guerre”, di Maurizio Cecchetti (edizioni Medusa). Scopriamo chi è stato questo sbalorditivo scultore, ceramista e pittore dorgalese, figlio di Pietro Fancello e Rosaria Cucca.

Rivediamo (e riscopriamo) la nobile figura del ceramista e disegnatore sardo, morto giovane, che fece del mondo delle bestie una sua favola onirica, personalissima ma anche movimentata e quasi febbrile. Una favola perfettamente inserita tra Leoncillo Leonardi e Lucio Fontana, con meravigliose e, appunto oniriche, reminiscenze preistoriche prenuragiche. Chi era veramente Salvatore Fancello e cosa ha lasciato all’immaginario collettivo e soprattutto alla cultura sarda e nazionale in genere? Un artista in grado di narrare attraverso la ceramica il mondo rurale della Sardegna, al quale si sentiva autenticamente e profondamente legato, durante una carriera breve ma intensa.

Nel prezioso testo del critico d’arte e giornalista di Avvenire (l’incontro è stato moderato da Ada Fronteddu, guida turistica e tecnico della fruizione museale), rivivono i colori e i materiali utilizzati da un artista precursore, quasi visionario nella sua azione modellatrice che va di pari passo con una vita avventurosa e brevissima. Figura ancora poco conosciuta (in realtà più dimenticata), si diceva, quella di Salvatore Fancello, grande amico di Costantino Nivola. Nato a Dorgali nel 1916, l’artista sardo morì nel 1941, non ancora venticinquenne, a Bregu Rapit, sul fronte greco-albanese. Fancello svolse il suo periodo di formazione nel laboratorio artigiano di Ciriaco Piras nel suo paese natale. Successivamente, nel 1930, si trasferì all’ISIA di Monza dopo essere rimasto orfano di entrambi i genitori, grazie al conferimento di una borsa di studio. Durante il suo percorso all’ISIA, ebbe l’opportunità di frequentare altri connazionali di talento, come Giovanni Pintori e Costantino Nivola.

Emerse come uno degli studenti più brillanti dell’istituto, qui studiò sotto l’insegnamento di eminenti docenti come Marino Marini, Pio Semeghini, Karl Walter Posern, Giuseppe Pagano, Edoardo Persico e Raffaele De Grada.

Cosa ispirò un giovane di Dorgali a creare un meraviglioso bestiario in cui sembra rivivere l’incanto di un Eden perduto e poi ritrovato? Perché Salvatore Fancello si ostinava a dipingere e modellare animali con colori straordinari, accostando pecore, cavalli, asini e cinghiali di una terra rude e selvaggia, insieme a rinoceronti, elefanti, giraffe e leoni dalle sembianze improbabili. Questi esseri non trasmettono timore, ma esibiscono una loro fantastica livrea, adornata di stelle e punteggiata di azzurro, verde e viola. Sembrano essere la memoria di un passato aureo fantastico.

Il presente “quaderno” di Cecchetti, inquadra la “meteora” Fancello, un artista da riscoprire grazie al suo lavoro circoscritto, plasmato anche da elementi primordiali, come le domus de janas, emergenti dall’arido terreno isolano. Per poi rimescolarli in un tessuto creativo moderno e decisamente avanguardistico. Fancello ha creato opere sorprendenti e vivide, dal “Disegno ininterrotto” – un capolavoro in cui dispiega il suo bestiario lungo il rotolo di carta di una telescrivente, quasi anticipando alcune sperimentazioni di Piero Manzoni – alle magnifiche ceramiche realizzate presso l’ISIA di Monza o nel laboratorio di Mazzotti ad Albisola, fino agli schizzi in cui il suo mondo si popola di presenze imponenti e benevole, simili a figurine del presepe.

Le sue creazioni di animali in maiolica appaiono come se fossero “assottigliate e arricciolate dal vento”, come suggerì l’artista Lisa Ponti. Modellati dalle onde marine e insensibili a influenze figurative, prendono forma in varietà sempre rinnovata, catturando l’ammirazione di intellettuali poliedrici dell’epoca: da Pagano a Giulia Veronesi, da Carrieri e Sinisgalli, da Argan a Brandi, fino ai conterranei e amici Nivola e Pintori.

Il ritratto prezioso di questo giovane, tragicamente scomparso sul fronte greco-albanese, offre non solo testimonianze inedite e rare ma accompagna anche il lettore lungo un percorso esistenziale poco esplorato, ricco di tratti umanissimi e coinvolgenti.

“Gli anni di Fancello: Una meteora italiana nell’arte italiana tra le due guerre” (pp. 212, € 22,00), è un’opera definita appunto dall’autore come un “quaderno con materiali di studio” e si propone di fare il punto sulla figura di un artista irregolare che da tempo attende una giusta collocazione critica, nonostante abbia avuto estimatori e collezionisti di spicco.

Cresciuto nell’ambiente del razionalismo architettonico guidato da Persico e Pagano, il giovane Fancello ha sempre ricevuto il sostegno di quest’ultimo, che gli ha affidato l’incarico di realizzare il pannello monumentale per la sala mensa della Bocconi. In questa creazione, una figura femminile in smalto bianco emerge su uno sfondo azzurro, circondata da un mosaico composto da piastrelle in ceramica raffiguranti attività ludiche e sportive.

Il libro di Cecchetti presenta, oltre a un approfondito saggio introduttivo, una serie di testimonianze, tra cui quella di Pagano, che evidenzia il “pudore contadinesco” del giovane artista.

Fancello si dedicò principalmente alla scultura in ceramica e al disegno, ampliando i suoi studi non solo presso l’ISIA, ma anche nei laboratori di Virgilio Ferraresso a Padova e di Tullio Mazzotti ad Albisola. Durante i due diversi periodi di apprendistato, Fancello ebbe l’opportunità di sperimentare nuove tecniche di composizione e cottura della ceramica, come dettagliato da Mario Labò. Nello studio di Mazzotti in Liguria, si confrontò con i manufatti di vari artisti, tra cui Lucio Fontana. In entrambi i campi espressivi, Fancello ottenne risultati notevoli, soprattutto attraverso i suoi inimitabili bestiari che richiamano, come detto ,un mondo infantile e fiabesco.

In questo Eden miracolosamente ritrovato, si snoda un corteo di animali domestici e selvatici caratterizzati da pose e colorazioni insolite, prive di qualsiasi realisticità naturalistica. Il lirismo composto e appassionato che ne deriva “sfiora il decorativo senza cedere”, come ha sottolineato Giulia Veronesi, capace di notare reminiscenze dall’arte rupestre primitiva. I leoni, i rinoceronti, e i cinghiali onnipresenti presentano la stessa espressione mansueta di buoi, capre, giraffe e formichieri, tutti dotati di improbabili manti dai colori azzurri, gialli e viola. Anche quando i leoni affrontano i cinghiali, la crudeltà è esclusa dall’universo di Fancello, dominato da un senso di rinnovato stupore e sospensione metafisica.

 

 

Le mucche, per osservare gli aerei zigzaganti tra le nuvole, si distendono sui prati come beoti, esibendo grottescamente il ventre all’aria. Questi straordinari animali, descritti come detto da Lisa Ponti come “assottigliati e arricciolati dal vento” o raffigurati con l’essenzialità di un’apparizione meridiana, sembrano emergere, è il caso di ribadirlo (l’influenza dell’arte prenuragica è evidente), dalle domus de janas che affiorano da una terra arida. Le interessanti analogie con i lubki russi (genere di stampa popolare) e i richiami al fascino che le sculture realizzate dal padre con il pane esercitavano su Arturo Martini quando era giovane, aggiungono ulteriore profondità al panorama artistico di Fancello.

 

Il punto culminante in questa narrazione è incarnato dal “Disegno ininterrotto”, ideato dall’autore nel 1937 su un lungo rotolo di carta destinato a una telescrivente, in occasione delle nozze tra Nivola e Ruth Guggenheim. Questi, emigrati a New York a causa delle leggi razziali, insieme alla sorella di Ruth, Renata, sono anche i protagonisti delle lettere inedite di Renata al fidanzato Fancello, che vengono presentate in appendice. In questa straordinaria opera, le immagini degli animali si sviluppano con tutta la loro gioiosa e giocosa libertà espressiva, creando “quella leggerezza surreale che si ritrova anche in certe opere di Dufy, in particolare nel grande murale della Fée Electricité”, come osserva Cecchetti. Sono inclusi documenti inediti, tra cui quelli legati all’esposizione tenutasi in una sala di passaggio della XXIV Biennale di Venezia nel 1948, che suscitò le accese proteste di Gio Ponti, come riportato su «Domus», in quanto la collocazione fu considerata inappropriata. Nonostante il periodo circoscritto delle sue espressioni plastiche e figurative, il percorso artistico di Fancello si articola attorno a momenti emblematici della sua carriera. Alla VI Triennale di Milano del 1936, espone un graffito a tema coloniale, insieme ai pannelli, ora conservati presso i Musei Civici di Monza, intitolati “Lavori campestri” e “La partenza del legionario”. In quest’ultima opera, si notano stilemi egizi nelle figure disposte di profilo, posizionate perpendicolarmente alla composizione verticale, esprimendo con un tono lirico quasi onirico la sua funzione celebrativa. Contestualmente, sono presenti dodici piastrelle raffiguranti i segni zodiacali che si contrappongono ai mesi, oltre al “Vaso della pavoncella”. Va menzionato anche il contributo costituito dai “presepi” e dalle decorazioni realizzate per lo stand della Olivetti alla VII Triennale del 1940. Sinisgalli notò similitudini con l’opera di Leoncillo (senza dimenticare Broggini, Melotti e lo stesso Fontana ceramista), osservando che “alcuni effetti di meraviglia (…) richiamano lo stupore del ragazzo che, dietro una lente, conta le zampette di una pulce”.

La sua breve vita è intensa e ricca di contatti. Penultimo di dodici figli, sin dall’infanzia Fancello sviluppò una forte passione per il disegno e la scultura, tanto che convinse i genitori ad iscriverlo a una scuola di avviamento professionale. In seguito, diventò apprendista nella bottega dell’artigiano ceramista Ciriaco Piras per contribuire al sostentamento della famiglia. Nel 1930, a soli sedici anni, partecipa a un concorso dedicato alla promozione dell’artigianato con un pannello di legno scolpito e vince una borsa di studio per l’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Monza (ISIA).

Rimasto orfano dei genitori, si trasferisce a Monza e si iscrive alla sezione di ceramica, dove riceve insegnamenti da scultori di grande prestigio come Arturo Martini e Marino Marini. Tra i compagni di corso, stringe una particolare amicizia con Costantino Nivola e Giovanni Pintori. Nel 1934, durante una visita estiva in Sardegna con i due amici, decidono di organizzare una mostra a Nuoro, ma purtroppo non ottengono alcun successo.

Due anni dopo, Fancello si diploma con lode e partecipa alla VI Triennale di Milano, esponendo diverse opere, tra cui “I segni dello Zodiaco”, terrecotte inserite in coppe smaltate di colore azzurro. In una sala dedicata, realizza un graffito su una parete raffigurante alcuni animali esotici.

Nel 1937, Fancello fa la conoscenza di Giulio Carlo Argan, il quale, impressionato dal suo talento, lo incoraggia a presentare domanda al Ministero dell’Educazione per un premio. Nel 1938, Fancello vince il premio e nello stesso anno inizia a lavorare ad Albissola Marina nel laboratorio dei ceramisti Tullio e Giuseppe Mazzotti. Per i Mazzotti, crea 125 opere e un grande presepe con statuine a grandezza naturale caratterizzate da colori vivaci, esposto a Torino nel dicembre del 1940 presso la sede della Gazzetta del Popolo.

Nel gennaio del 1939, Fancello si arruola nell’esercito, ma già due mesi dopo ottiene una licenza per partecipare alla nuova edizione della Triennale, dove viene premiato per le sue ceramiche. Nello stesso periodo, realizza alcune opere per la mensa dell’Università Bocconi, che rimangono incompiute a causa della sua prematura morte il 12 marzo 1941 sul fronte militare in Albania, a meno di venticinque anni.

Nel 1942, la Pinacoteca di Brera organizza una retrospettiva dedicata a Fancello, e nel 1950 il presepe da lui realizzato viene esposto al Brooklyn Museum di New York. Attualmente, le opere dell’artista sono conservate al Museo Archeologico di Dorgali, in una sezione appositamente dedicata a Salvatore Fancello, l’enfant prodige della ceramica italiana, che meriterebbe sicuramente una ulteriore collocazione.

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