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La Sardegna ha perso il suo Re

Gigi Riva

Gigi Riva

22 gennaio 2024, ore 19: Gigi Riva se n’è andato per sempre. Qualsiasi frase per commentare una simile notizia risulta retorica e banale. Cosa si può scrivere sulla morte di un Re?

Non c’è gioco di parole, iperbole o provocazione nel definire per la Sardegna Gigi Riva un Re. Basta andare all’origine della parola, che va oltre il latino “rex” e arriva fino all’alba dei tempi. La radice del sanscrito antico “rag'”, da cui deriva la parola latina che poi ha designato colui che governa, regge e domina, raggruppava un concetto molto più ampio del semplice sovrano: significava splendere, brillare. E nessuno in Sardegna, almeno negli ultimi 100 anni, ha mai brillato di luce fulgida e pura come lo ha fatto Gigi Riva.

Bobo Gori e Gigi Riva

Rombo di tuono, nato a Leggiuno il 7 novembre 1944, ha brillato prima di tutto in campo. I suoi muscoli possenti, i suoi occhi infiammati dalla passione, il suo tiro esplosivo, la sua grinta implacabile, il suo ardore agonistico, la fame di gol e la sua tecnica sopraffina. Era un moderno Achille, forte, coraggioso, inarrestabile e potente. Un semidivo con un unico tallone fragile, individuato troppo presto dal “boia del Prater” Norbert Hof, che nell’ottobre del 1970 gli ruppe una gamba e mandò in frantumi il sogno alquanto realizzabile di uno Scudetto rossoblù Bis.

Ma al Cagliari, ai cagliaritani e ai sardi di Scudetto ne bastò uno. Uno, unico e speciale. Che poi non è quello il motivo per cui il popolo isolano lo ha scelto come suo Re. La corona sul capo se la sarebbe meritata comunque. Per la coerenza, la serietà, la lealtà e la discrezione. Gigi Riva era più sardo dei sardi, hanno detto in molti. E a ragion veduta.

La sardità del centravanti più forte del calcio italiano – lo dicono i numeri e le giocate – si manifestava nelle passeggiate solitarie tra via Dante e via Paoli, nelle cene di pesce alla Stella Marina di Montecristo, nella capacità di dire sempre e comunque “grazie”. Lo ha detto anche ai medici poche ore prima di morire. La sardità di essere sempre vicino agli amici, soprattutto nei momenti di difficoltà. Lo fece con Nené in particolare, l’amico fragile da sostenere e capire.

Riva ai funerali di Nenè

Per non parlare del culto della dignità e della parola data. Un senso dell’onore che non lo fece dubitare un istante, quando la Juventus arrivò con le valigie piene di banconote (un miliardo) per portarselo via. “No grazie”. Una decisione che mette Gigi Riva in un solco straordinario della storia sarda. È lo stesso di Amsicora, Eleonora d’Arborea, Gramsci e pochi altri.

C’è poi quella qualità che tutti hanno sempre riconosciuto al mito rossoblù: la schiena sempre dritta, la testa sempre alta. Come quando nel 2006, da dirigente della Nazionale Italiana di Calcio campione del mondo, scese dal pullman dei festeggiamenti perché sentiva troppa “puzza” di politica e di persone desiderose di mettersi in mostra. O come in tutti quei momenti in cui non ha mai avuto paura di esprimere liberamente il suo pensiero con garbo, educazione ed eleganza. “Arabia Saudita? Io avrei rifiutato”, disse neanche un anno fa sull’opportunità di andare a giocare o allenare al soldo di Riyadh. Quella stessa Riyadh che è stata in grado – forse per queste sue ultime parole – di fischiarlo oggi, durante la finale di Supercoppa Napoli-Inter, nel giorno della sua morte. Puoi comprarti la Supercoppa, la Serie A, tutto il calcio italiano, ma non Gigi Riva. Gigi Riva è un regalo, un regalo che i sardi hanno dimostrato di meritare.

Addio Rombo di Tuono, addio Re di Sardegna.

 

 

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